di Gianni Quilici
Ecco in estrema sintesi ciò che ritengo l’essenza profonda di questo film: “il tempo”. Ossia l’intreccio filmico tra i tempi della vita: passato, presente, futuro. Infatti: il passato qui non è archeologia, è storia. La storia non è altrove, lontana è qui ancora viva, pulsante, più che mai necessitante di un’interrogazione. Il presente è sempre attimo che non si ferma, presenza o assenza, attività, ma anche contemplazione, stupefazione, tempo che si scolpisce.
Il futuro, infine, è ora in un presente carico del passato che progetta, agisce, interloquisce.
Da qui la visione integrale è necessaria, pur essendo il film diviso in sette capitoli. Il ritratto di Marina Piperno non è puramente cronologico, né rettilineo. E’ anche ritorno alla Storia, la sua e quella di tutti, con cui “duellare”. E’ un ritratto di figura sensibile e pratica, determinata e poetica, con un volto che esprime la naturalezza del quotidiano, i silenzi contemplativi, la profondità del dolore. E’ un ritratto in divenire, indefinito con le sue zone d’ombra, con le sue ferite, con le sue proiezioni di felicità.
Il film è un atto d’amore di Luigi Faccini (assassino, ma al fondo gentile) a Marina Piperno. Un grande atto d’amore in sé (per averlo voluto, progettato e realizzato) e nei suoi risultati.
L’atto d’amore è nell’aver dato tutto lo spazio possibile a Marina, perché la storia non si contraesse, lasciando che il film e la figura della protagonista potessero emergere con i loro tempi, chiedendo a noi spettatori (altri) di metterci a fianco, di accompagnare il film anche nei momenti apparentemente più lenti.
L’atto d’amore è, infine, una scelta stilistica e poetica di regia, di Faccini.
Infatti, se è vero che il film è un dono di Faccini alla donna amata e a noi spettatori, è anche vero che accanto a Marina Piperno c’è l’ombra dell’assassino gentile: la sua voce diretta e autorevole che partecipa o domanda o s’inserisce, ma soprattutto vive con l’occhio della videocamera.
Ed infatti in questo ritratto (o ritratti) c’è cinema.
Prendiamo gli inserti di vita quotidiana con i suoi “animaletti”: il riccio, la cavalletta, il grillo, la lumaca, la farfalla. Sequenze splendide per le inquadrature in primissimo piano, che pienamente rilevano la loro fisicità nei dettagli più nascosti, per le parole che esprimono talvolta l’incanto che la visione ravvicinata suscita (“Guarda se non ha sembianze umane.. Sembra un acrobata…), per la presenza libera e incontrollata con cui i cani giocano o interagiscono. Non è semplicemente la bellezza degli attimi, è la bellezza di attimi creati, selezionati e scolpiti.
Prendiamo il materiale d’archivio, foto e filmati, utilizzati per intrecciare la vicenda della famiglia Piperno, ebrea, che dovrà, di fronte alle leggi razziali e ai rastrellamenti di fascisti e di nazisti scappare, fuggire…. Bastano le voci, per certi versi, terrificanti di Mussolini e di Hitler, le immagini di una folla che con queste si fonde, un montaggio ben calibrato per introdurci in quel clima di paranoico fanatismo e di crudeltà claustrofobica, troppe volte intravista per non correre il rischio della banalizzazione.
Anche per questo la visita ad Auschwitz diventa fondamentale: come cerniera tra un ieri che sempre ritorna in chi, da bambina, l’ha comunque vissuto, e l’oggi in cui le ombre lunghe del razzismo leghista questa atmosfera suggeriscono e che le parole nette scritte da Giorgio Bocca e lette da Marina Piperno benissimo esprimono. Faccini riesce a fondere il dolore muto del volto di Marina in sovraimpressione con i binari del treno che arrivano alla porta di Auschwitz, con il filo spinato, con le foto di uomini e bambini denudati di tutto, con i poveri oggetti rimasti. Tutto senza pietismi in una giornata azzurra di luce ed in una Cracovia percorsa da un turismo sobrio, con una fisarmonica trascinante ed un faccia a faccia dei due protagonisti, che si interrogano, scavano o cercano di scavare su cosa sia oggi la Shoah, la Memoria personale e quella collettiva.
Prendiamo infine le musiche di Oliviero Lacagnina e Riccardo Joshua Moretti, soprattutto ascoltiamo il bellissimo motivo dominante, che percorre il film nei suoi snodi principali, con la sua inquietante e malinconica mobilità.
Giusto, infine, che il futuro sia un film da fare, un film su Rudolf Jacobs, un tedesco, un tedesco partigiano, che combattè e morì per una scelta coraggiosa, la resistenza contro il nazi-fascismo. Una figura giovane, aperta, nobile, protesa verso… Giusta questa scelta, che scopre un set, il fiume Magra “ perfetto…da riprendere dall’alto in basso per evitare la presenza di macchine”…, che scopre la difficoltà di reperire fondi, che scopre, per caso, l’attore, Carlo Prussiani, d’una bellezza espressiva che bene si imparenta con la foto di Rudolf Jacobs. Giusta scelta, che chiude il film lasciandolo aperto, aperto ad un impegno, un impegno creativo, un impegno civile.
STORIA DI UNA DONNA AMATA
E DI UN ASSASSINO GENTILE DVD
Regia di Luigi M. Faccini. Montaggio: Sara Bonatti .
Musiche: Oliviero Lacagnina, Riccardo Joshua Moretti .
Prodotto da Bubul & Co. per Ippogrifo Liguria.
Durata:218’ – DVD.
Il testo fa parte del libro “L’amata l’assassino. Malizia e innocenza del cinema” di Luigi Faccini