di Vittorio Toschi
E’ un film decisamente duro, Il Profeta; un film asciutto, rigoroso e niente affatto “ruffiano”. Jacques Audiard ci racconta la parabola, senza giudicarne la direzione, del giovane Malik, da ingenua ed analfabeta (in tutti i sensi) “matricola” carceraria a spietato, pur senza mai apparire crudele, boss vincente (?).
Film di grande successo in Francia, Gran Premio della Giuria a Cannes e candidato all’Oscar, Il Profeta è un potente affresco sui rapporti di forza e sull’impossibilità di restare puri. Pur trattandosi di una storia in ambiente carcerario, il film si distanzia dagli stereotipi tipici del genere. E neanche Audiard pare tanto interessato ad un discorso sociale o di denuncia (della situazione carceraria o delle etnie che la popolano), quanto piuttosto a raccontarci i giochi di forza e la capacità di Malik di prenderne consapevolezza in un processo (inevitabile l’identificazione dello spettatore) di crescita molto calato nel reale. Per favorire la credibilità della narrazione Audiard ha utilizzato, accanto al praticamente sconosciuto eppure perfetto Profeta Tahar Rahim, autentici ex carcerati.
La storia si dipana in due ore e mezzo (forse troppe?) di riprese essenziali, poco colorate e illuminate, in gran parte chiuse nel carcere, luogo principe dell’“iniziazione” di Malik, che con sempre maggiore naturalezza intreccia e dipana, complotta e combutta, muovendosi sempre sul limbo del precipizio, precipizio nel quale non cade e non può cadere, perché lui è il profeta. Dice Audiard “Il mio profeta annuncia un nuovo modo di criminalità e di essere criminale. Malik è un criminale che ha in sé qualcosa di angelico e intelligente, non è solo uno psicopatico”.
La facilità con cui Malik impara a destreggiarsi tra i mafiosi corsi e gli spacciatori arabi, la consapevolezza e il carisma che crescono in lui durante tutto il film, ne fanno un personaggio trascendente. Un profeta, appunto, un po’ psicopatico, certo, ma anche un mistico, un uomo con la visione, e infatti un uomo che vede prima. Particolarmente ispirati e ispiranti sono gli incontri di Malik con il fantasma di Reyeb, da lui stesso sgozzato come primo compito del processo iniziatico.
Anzi il film mi è parso particolarmente forte e potente proprio quando Audiard è stato capace di inserire il non reale in una situazione filmica estremamente reale/realistica, come nella felicissima scena quando il fantasma di Reyeb, fuori campo, prevede a Malik quello che vedrà pochi secondi dopo dalla finestra della cella. Con questi piccoli inserti, vera caratterizzazione della pellicola, si ottiene l’effetto, pur mantenendo lo spettatore sul piano di una spietata e continua lotta, di trasportarlo su un piano diverso e più evocativo, lontano anni luce dagli stereotipi di un genere dal quale Il Profeta si distanzia notevolmente.
REGIA: Jacques Audiard
SCENEGGIATURA: Jacques Audiard, Thomas Bidegain, Abdel Raouf Dafri, Nicolas Peufaillit
ATTORI: Tahar Rahim, Niels Arestrup, Adel Bencherif, Reda Kateb, Hichem Yacoubi, Gilles Cohen, Pierre Leccia, Jean-Philippe Ricci, Antoine Basler, Leïla Bekhti, Foued Nassah, Jean-Emmanuel Pagni, Frédéric Graziani, Slimane Dazi
FOTOGRAFIA: Stéphane Fontaine
MONTAGGIO: Juliette Welfling
MUSICHE: Alexandre Desplat
PRODUZIONE: Chic Films, Page 114, Why Not Productions
DISTRIBUZIONE: BIM Distribuzione
PAESE: Francia 2009
GENERE: Drammatico
DURATA: 149 Min