di Maddalena Ferrari
Un manicomio criminale su un’isola scoscesa nella baia di Boston, battuta da oscuri, minacciosi marosi; una nave che nella nebbia le si avvicina, con a bordo due agenti dell’FBI, Teddy (Leonardo Di Caprio) e il suo aiutante Chuck (Mark Ruffalo), incaricati di indagare sulla scomparsa di una paziente-detenuta; al loro sbarco, una brusca accoglienza da parte degli agenti di custodia, da cui si evince che il luogo gode di una specie di extraterritorialità: questo è l’inizio accattivante e coinvolgente, con riprese in soggettiva che catturano lo spettatore, del film di Scorsese, un film cupo e barocco, fra il thriller avventuroso e l’horror psicologico.
Apprendiamo, insieme ai protagonisti, che il manicomio è suddiviso in tre settori: per gli uomini, per le donne e per i soggetti pericolosi per sé e per gli altri; in più, c’è sull’isola un vecchio faro inutilizzato. Inoltre il direttore, dottor Cawley (Ben Kingsley), informa i due ospiti che esistono diverse linee di trattamento dei malati: l’intervento chirurgico, i farmaci, terapie di autoliberazione; e che lui è un fautore di queste ultime…Ma scopriremo poi che il vicedirettore, un tedesco dal torbido passato (Max von Sydow), ha ben altre idee.
Siamo a metà degli anni ’50, la guerra e i lager nazisti sono un ricordo vivo e in Teddy, che ha partecipato alla “liberazione” del campo di Dachau, si intrecciano con la memoria di traumatici fatti privati; tutto lo porta ad essere tormentato da profondi sensi di colpa ed a mescolare e confondere la sua missione “ufficiale” con una missione personale.
Il suo sarà un viaggio nell’orrore e nel mistero fuori e dentro di lui.
Qualcosa di vecchio aleggia su tutto il film: vecchia la rappresentazione della malattia mentale e degli interventi su di essa; vecchio il ribaltamento della soggettività di Teddy e della realtà intorno a lui, vecchi i meccanismi atti a creare suspence e paura: la natura ostile (comprese una tempesta devastante e un’invasione di topi), gli edifici oscuri e labirintici, la musica greve e altisonante, le epifanie accuratamente preparate, ma che si manifestano improvvise e laceranti; vecchi gli incubi e le allucinazioni, anche troppo insistiti (la moglie che appare, sogno nostalgico di amor perduto), che preludono ad un lungo episodio in fash-back, tragico e chiarificatore.
Martin Scorsese, come da più parti si è detto ed anche per sua stessa ammissione, raccoglie e cita i cliché dei film di genere, padroneggiando tutto con maestria linguistica e piglio autoriale, sostenuto da interpretazioni eccellenti, soprattutto quella di Di Caprio.
Ma, a differenza, mettiamo, di un Tarantino, anche lui uso a operazioni di questo tipo, egli prende fin troppo sul serio l’oggetto della narrazione e carica il suo “eroe” di uno spessore umano e drammatico, che sbilancia tutto il racconto, togliendogli credibilità, ritmo e fascino, in modo che la storia, da qualsiasi punto di vista la si consideri, data per scontata una qualche ambiguità in essa insita, ma che fatica ad evidenziarsi e nel finale sembra sparire del tutto, risulta abbastanza lambiccata e, in certi punti, persino pasticciata.
Shutter Island
di Martin Scorsese
Sceneggiatura: Laeta Kalogridis
Soggetto: Dennis Lehane ( Romanzo ) (L\’isola della paura)
Personaggi:
Leonardo DiCaprio (Teddy Daniels)
Mark Ruffalo (Chuck Aule)
Ben Kingsley (Dott. John Cawley)
Emily Mortimer (Rachel Solando)
Michelle Williams (Dolores Chanal)
Max von Sydow (Dott. Jeremiah Naehring)
Jackie Earle Haley (George Noyce)
Elias Koteas (Andrew Laeddis)
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Fotografia: Robert Richardson
Scenografia: Dante Ferretti
Costumi: Sandy Powell
Musiche: Robbie Robertson Jennifer L. Dunnington
USA 2010
Durata: 138 min.
Mary said,
Marzo 17, 2010 @ 01:03Non molto da aggiungere a questa recensione così completa ed efficace.
Solo alcune sensazioni personali, durante e dopo la visione del film: angoscia, confusione, una certa paura; nonostante il “qualcosa di vecchio”… L’interpretazione di Di Caprio è davvero coinvolgente