“Alice in Wonderland” di Tim Burton

di Vittorio Toschi

Alice-in-Wonderland-Mia-Wasikowska-Alice_midAlice bambina nel Paese delle Meraviglie. Un sogno che per lei non è solo un sogno. Un viaggio ricorrente in un mondo altro che le fa paura. Alice ha paura di impazzire. Per sua fortuna, accanto a lei il padre la rassicura sulla sanità della follia.

Alice cresce. Il padre è morto. Le resta solo tutto il mondo; un mondo, però, che le è estraneo. Eppure un mondo che la vuole, ma non proprio lei, vuole un’altra Alice, quella omologata, quella che sta per fidanzarsi con un giovane ricco e nobile, eppure tremendamente noioso e, come più volte ribadito dalla di lui molto madre, con qualche problema digestivo di troppo. Alice sente di non avere scelta. Ha paura di finire come la vecchia zia zitella, oramai impazzita nell’attesa di un marito che non verrà. A pochi minuti dall’imminente fidanzamento, e quindi dalla fine del mondo altro, un coniglio in doppiopetto la riporterà nel suo (vero?) mondo per scoprire se è lei la vera Alice (salvatrice) che stanno aspettando.

Tim Burton è, a ragione, riconosciuto come uno dei massimi talenti visionari in circolazione. E, anche in questa sua (non troppo) personale trasposizione cinematografica dei due libri di Lewis Carroll, conferma la sua personalissima capacità di riprodurre, in immagini, universi di fantasia. Il suo maggiore pregio è quello di farci entrare nel mondo di Alice con naturalezza e senza alcuna inutile sottolineatura dei numerosi effetti speciali e digitali, dei quali è maestro. Il viaggio nel Paese delle Meraviglie è autentico. Non facciamo fatica ad immergerci e muoverci in questo magma di inconscio collettivo popolato da personaggi tanto improbabili quanto familiari.

Eppure durante la visione del film sento salire una strana sensazione, una sorta di noia che si fa sempre più intensa fino quasi a diventare attesa in una veloce conclusione verso un finale che, peraltro, mi è parso abbastanza repentino e coronato da un’inutile e raffazzonata “deliranza” del Cappellaio Matto (Johnny Depp), che non rende certo giustizia all’attesa nel frattempo creata.

Mi chiedo, allora, il perché di questa sensazione, pur consapevole di trovarmi di fronte ad un prodotto pressoché perfetto nel suo genere. Credo, quindi, che il limite sia da ricercarsi in una crescente consapevolezza del “già visto”, tanto che alla fine della proiezione ogni emozione scivola subito via lasciandomi con una chiara sensazione di “bello ma inutile”. Insomma il film non colpisce, non entra, non lascia traccia. E questo non perché vi siano particolari difetti, ma perché, pur sotto altre forme, questo film Tim Burton ce lo ha già fatto vedere molte volte, troppe. Non ci prende più, il gioco ha fatto il suo corso. Noi quel mondo già lo abbiamo già visto, vissuto ed esplorato. Ci è piaciuto, certo, e ci ha divertito, ma ormai è una minestra riscaldata. Per non parlare, poi, del personalissimo utilizzo gotico di Jonny Depp. Anche qui niente di nuovo, un personaggio troppo ri-visto e che anzi in questo film raggiunge uno dei livelli più inutilmente estetizzanti.

Nelle sale predisposte il film si può vedere in 3d. Nel caso specifico il 3d è stato aggiunto in post produzione e risulta poco efficace, oltre che poco presente. Chi scrive, poi, nutre parecchie perplessità verso questa tecnologia obsoleta e che ci viene periodicamente rifilata come novità. L’effetto 3d mi pare sempre molto debole, restringe lo schermo, funziona solo per staccare il personaggio rispetto allo sfondo, mentre appare confuso per rendere azioni in movimento. Ma soprattutto stanca lo spettatore, che infatti spesso si vede costretto a togliere gli occhiali per qualche secondo di azioni sdoppiate. Insomma, se questo è lo strumento di punta per il rilancio del cinema, non mi pare che siamo messi troppo bene. A mio avviso il cinema si rilancia con belle storie e idee nuove (quelle che Tim Burton avrà modo di farci ri-vedere se solo saprà dimenticarsi di se stesso) e non con trovate da giocolieri della domenica.

Alice in Wonderland

Regia: Tim Burton

Soggetto: dal romanzo di Lewis Carroll

Sceneggiatura: Linda Woolverton

Interpreti e personaggi

* Mia Wasikowska: Alice Kingsley

* Johnny Depp: Cappellaio matto

* Helena Bonham Carter: Regina Rossa

* Anne Hathaway: Regina bianca

* Crispin Glover: Fante di cuori

* Marton Csokas: Charles Kingsley

* Eleanor Tomlinson: Fiona Chataway

* Frances de la Tour: Zia Imogene

* Matt Lucas: Tweedledee e Tweedledum

Doppiatori italiani:

* Fabio Boccanera: Cappellaio matto

* Letizia Ciampa: Alice Kingsley

* Claudia Razzi: Regina Rossa

* Federica De Bortoli: Regina bianca

* Stefano Benassi: Fante di cuori

* Edoardo Stoppacciaro: Pinco Panco e Panco Pinco

* Gianni Giuliano: Stregatto

* Sergio Di Stefano: Brucaliffo

* Oreste Baldini: Bianconiglio

* Davide Lepore: Lepre Marzolina

* Rodolfo Bianchi: Direzione del doppiaggio

Fotografia: Dariusz Wolski

Montaggio: Chris Lebenzon

Effetti speciali: Michael Lantieri

Michael Dawson

Musiche: Danny Elfman

Scenografia: Robert Stromberg

Paese: Stati Uniti d’America

Anno: 2010

Durata: 110 min

HAL 9001 said,

Marzo 12, 2010 @ 19:41

Il Paese delle Meraviglie ha rubato una L e Carroll è diventato Carrol.

admin said,

Marzo 15, 2010 @ 13:25

Corretto.Grazie, Hal 9001

Loredana Giannini said,

Marzo 16, 2010 @ 12:13

Un viaggio nelle “cavernità” dell’anima, immaginario e poetico come ce lo propone Tim Burton non può MAI avere il sapore di “minestra riscaldata” a meno che non sia visto con i soliti occhi dell’intellettualismo ottuso di una critica cinematografica che è il vero soggetto che veramente ci ha stancato e ci provoca noia!

elena baroni said,

Marzo 21, 2010 @ 01:08

Concordo. Mi sono annoiata. Eppure, adorando il lavoro fin qui svolto da Tim Burton, avevo alte aspettative. E sono rimasta delusa.

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