di Gianni Quilici
E’ un film che conquista, perché “tocca” i sentimenti secondo una strategia si potrebbe anche dire “politica”; tradizionale nello stile “classico, anzi superclassico” (Valerio Caprara); importante nei contenuti, non perché rappresenti “qualcosa” di nuovo, ma per il modo con cui Nelson Mandela affronta il governo del suo Paese nel momento, in cui diventa Presidente.
Nelson Mandela, infatti, vuole “unire” due razze, due classi sociali, storicamente e profondamente separate. I bianchi e i neri. I padroni e gli schiavi. Per creare una nuova unità nazionale, una necessaria conciliazione.
Ma come fare? Da qui la geniale idea: affidarsi alla squadra nazionale di rugby.
I problemi?
Il primo: è una squadra perdente, che non ha alcuna possibilità, ad un anno dalla coppa del mondo che verrà giocata proprio in Sudafrica, non solo di vincere, ma nemmeno di superare il primo turno.
Il secondo, e soprattutto: è la squadra simbolo del potere dei bianchi.
Il film convince ed anche commuove per l’intelligenza e la determinazione di Mandela, che da un lato combatte il desiderio di vendetta, che anima i neri indigeni, che vorrebbero da subito sciogliere la squadra degli Springboks; dall’altro, sostenendo la squadra ed impedendone lo stravolgimento, cerca di superare paure, diffidenze e lo sprezzante razzismo dell’esigua minoranza dei bianchi afrikaner.
Questo è il “focus” di Invictus, un film lineare e nitido, che ha nella chiarezza del “messaggio” il suo pregio in un mondo, in cui chi domina o comunque governa (tranne rare eccezioni) impone o favorisce altre logiche e culture. Medesima filosofia che animava pure Harvey Milk nel film di Gus Van Sant.
Invictus convince anche per l’ interpretazione di Morgan Freeman, straordinario nell’incarnare benissimo sia fisicamente che psicologicamente Nelson Mandela e si può immaginare quanto sia difficile, e raramente succede, “rendere” personaggi reali, tanto più se famosi.
La partita finale con la Nuova Zelanda diventa poi la sequenza clou del film, in cui Clint Eastwood dà il meglio del suo vigore narrativo nell’orchestrare quel rapporto pubblico-gara, alternando ansia ed entusiasmo, palpitazione e concitazione degli spettatori, alla rudezza fisica e sonora dello scontro sul campo.
Cosa non convince? La mancanza di ambiguità. Clint Eastwood rappresenta il razzismo come un fenomeno culturale, fondato da pregiudizi storici e personali, che possono, come appare nella pellicola, essere superati. Non è così. Il razzismo nasce dal potere, da profonde e antropologicamente introiettate differenze di classe. Nel film vediamo soltanto una tappa dell’eterna lotta, che un politico acuto conduce a buon fine, ma non può essere questa la conclusione. L’episodio è soltanto una tappa importante nella lotta anti-razziale; nel film viene assunta troppo trionfalmente in modo che sembra determinante, come non lo è stata, non poteva esserlo.
Come scrive Jason Hickel su Mail & Guardian : “Nel film si nasconde qualcosa di terribilmente sbagliato. Ogni sudafricano di buon senso vi può dire che Eastwood si è preso la sconcertante libertà di sfruttare la storia del Sudafrica per confortare il pubblico americano sul problema della razza. Invictus offre esattamente la prospettiva che ci si aspettava da un messaggio catarchico per i bianchi statunitensi”.
INVICTUS
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Anthony Peckham
Musiche: Kyle Eastwood , Michael Stevens
Fotografia: Tom Stern (II)
Montaggio: Gary Roach , Joel Cox
Costumi: Daryl Matthee , Deborah Hopper
Cast
Francois Pienaar: Matt Damon
Nelson Mandela: Morgan Freeman
Linga Moonsamy: Patrick Mofokeng
Jason Tshabalala: Tony Kgoroge
Dati
Anno: 2009
Nazione: Stati Uniti d’America
Durata: 134 min
Fa piacere vederlo, perché è un narratore, sa essere coinvolgente e trasmette comunque valori-ideologia, che creano identificazione o almeno partecipazione emotiva…
E’ un film buonista. Forse è per questo che molti sono rimasti
delusi, tanto più che Clint ci aveva abituato a films senza speranza. Però vi sono brutti film buonisti (i più umerosi) e bei film buonisti (rari). E questo è il caso di Invictus. Teniamo conto che, come in “Gran Torino”, Clint si rivolge al pubblico come un vecchio saggio che vede le contrapposizioni
inutili.
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Vittorio Toschi said,
Marzo 8, 2010 @ 11:05Eastwood (comunque sempre sopravvalutato) anche in questo film conferma il mistero del suo cinema: è monolitico, didascalico e un po’ superficiale, eppura fa piacere vederlo.