“Moon: immaginario potente di un nostro possibile futuro”

di Maddalena Ferrari

moon-film-2Con uno sguardo rétro sul futuro ( macchinari e ambientazione appartengono ad un immaginario di anni fa ), citando, quando non apertamente ricalcando classici del genere, da Solaris a 2001: Odissea nello spazio a Blade Runner, il regista Duncan Jones prospetta uno scenario cupo, in cui il potere economico sfrutta la ricerca scientifico-tecnologica, tesa ad usare sistemi energetici alternativi ed ecosostenibili, usando l’uomo, al cui benessere tali sistemi dovrebbero essere finalizzati, come puro strumento, sfruttato, ingannato, spersonalizzato.

All’inizio noi vediamo Sam, l’unico personaggio del film, abbrutito da tre anni di solitudine e di noia, da un lavoro alienante in una base lunare, ma come sul punto di rivitalizzarsi, nella prospettiva della prossima fine del suo mandato e del ritorno sulla terra, con conseguente riabbraccio della giovane moglie e della figlioletta, che egli vede e ascolta attraverso un filmato preregistrato.

Ma naturalmente niente andrà come previsto e sperato : passando da un disinganno all’altro, ma resistendo e lottando, l’astronauta arriverà a dubitare della sua stessa identità, dei frammenti di memoria, non si sa se e in che misura indotti, del proprio vissuto, del tempo, del ciclo vita-morte.

Tutto appare sempre più tragicamente segnato, teso a far perdere progressivamente a Sam ogni punto di riferimento, in quell’ambiente lineare e asettico, dove egli esercita poche funzioni di controllo e da cui opera delle uscite su un cingolato sul suolo lunare scabro e polveroso, raschiato da enormi macchine. Non gli è concesso nessun contatto diretto con la terra, nemmeno l’organizzazione di cui fa parte è raggiungibile, a causa di uno strano guasto, che non è stato mai riparato.

Unico ”supporto”, con le dovute ambiguità, il robot tuttofare Gerty, copia ( un po’ rudimentale ) di H.A.L. 9000, con la sua voce monotona e suadente ( Kevin Spacey nell’originale, il suo doppiatore Roberto Pedicini in italiano ) e con in più una mascherina “espressiva”, la faccina gialla che siamo ormai abituati a conoscere, dotata del sorriso e della smorfietta di disappunto e, in questo caso, di qualche altra espressione in più.

Moon colpisce perché, attraverso la visionarietà della storia, fa filtrare l’immaginario di un nostro possibile futuro, che già oggi possiamo percepire:

da una parte un potere centralizzato e ipertecnologico, anonimo e invasivo; dall’altra l’isolamento e l’inganno, la disgregazione e l’atomizzazione dei rapporti umani e perfino la proliferazione dell’unicità dell’io.

Tutto questo, più che essere detto, è mostrato attraverso la forza di immagini di uno spazio primordiale e artificiale, senza Storia e senza Tempo.



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