di Roberto Costa
Si entra in una camera d’albergo. La luce di un abat-jour, un letto disfatto, l’aria chiusa da un profumo che sale alla testa e attanaglia il sangue. La prima sensazione è quella di aver sbagliato porta, l’istinto quello di fare qualche passo indietro e di uscire in silenzio. Poi ci si accorge che tra le lenzuola di quel letto giace un corpo. Il corpo di una donna addormentata, distesa sul ventre. Un corpo rilasciato, abbandonato, morto. Si sale una scala di legno che porta a un soppalco, ci si ferma su un gradino, ci si siede su un cuscino rosso, aspettando nel sentore di vita consumata che pervade la stanza.
Comincia così Bye Baby Suite, ritratto dall’interno della diva più diva della storia del cinema, Marilyn Monroe, squarcio d’esistenza di una donna messo in scena in una vera camera d’albergo, davanti ad un pubblico di una quindicina di persone. Se la prima impressione è quella di essere entrati per errore in una vita altrui, bastano pochi istanti per rendersi conto di non essere semplicemente spettatori di una pièce, quanto piuttosto ospiti indiscreti di una cella, sguardi inevitabili nell’intimità più recondita. Marilyn, donna-simbolo per eccellenza, circondata dai suoi oggetti – un vestito rosso, il telefono, le pasticche, una bottiglia da scolare, … – di fronte ad un immaginario ospite (il pubblico molteplice e indefinito che diviene un essere sconosciuto ma vicino a cui rivolgersi) finalmente si racconta, portando a compimento la sua rivelazione più autentica, che sfugge ai cliché di un’epoca e di un sistema per stringere l’obiettivo sulla dignità di una donna, di una persona che avrebbe voluto andare oltre i suoi ruoli preconfezionati, nel cinema come nella vita.
Ma la presenza dell’ospite, se serve a far scattare il meccanismo di liberazione della persona dall’abito-maschera del personaggio, ne sarà anche la condanna inappellabile, rappresentando colui che guarda, cioè il lato solo apparentemente passivo del rapporto divo-spettatore, immagine-occhio, vita-morte. Soltanto alla fine – quando la stanza si libera anche della presenza di Marilyn e restiamo soli – esce dall’oscurità l’indecifrabile sensazione iniziale davanti al corpo della donna distesa sul letto, la sensazione di essere stati noi ad ucciderla, mentre quel sentore ha preso ormai possesso dello stomaco.
Bye Baby Suite, andato in scena all’Hotel Liana di Firenze dal 23 al 29 novembre, è stato pensato come “assaggio” di uno spettacolo più ampio, Bye Baby, che è in attesa di debuttare nei cartelloni teatrali. Chi ama il teatro che esce dal teatro per ritrovarsi in un luogo fisico reale, quotidiano, nel quale il superfluo è dissolto dalla compattezza dello spazio e dall’intensità dell’esperienza, sa che Bye Baby Suite può viaggiare anche da solo, sospinto dall’equilibrio drammaturgico (non refrattario alla poesia) di Chiara Guarducci, cui dà corpo e respiro, potenza e fragilità la passionale interpretazione di Alessia Innocenti.
Bye Baby Suite di Chiara Guarducci con Alessia Innocenti
Alessia Innocenti
diplomata alla Bottega Teatrale Vittorio Gassman, alterna esperienze di teatro con attori e registi importanti (Dario Fo, Franca Rame, Giorgio Albertazzi, Ugo Pagliai, Paola Gassman, Flavio Bucci, Renato Carpentieri, Giancarlo Cauteruccio, Iaia Forte, Pappi Corsicato, Sebastiano Lo Monaco, Gabriele Ferzetti, Ugo Gregoretti, Roberto Guicciardini, Marco Mattolini, Cristina Pezzoli) ad esperienze di ricerca con il regista spagnolo Andrè Morte Terès (Fura dels Baus) e con il gruppo teatrale RossoTiziano, di cui è fondatrice e in cui partecipa anche come autrice e regista. Nel 2000 La Nara, di cui è autrice e regista, vince il premio Pratoverdeteatro del Teatro Metastasio. E’ attualmente in scena con Bye Baby, monologo su Marylin Monroe scritto da Chiara Guarducci, e con Serbare l’anima, monologo scritto da Teresa Megale sulla figura di Anna del Monte, ebrea romana che nel 1749 fu fatta prigioniera e condotta nella Casa dei Catecumeni per essere sottoposta ad un battesimo forzato. Ha lavorato in televisione in alcune fiction. Al cinema ha preso parte a La prima cosa bella di Paolo Virzì, Il seme della discordia di Pappi Corsicato, Non c’è più niente da fare di Emanuele Barresi, Adius di Ezio Alovisi, Caruso zero in condotta di Francesco Nuti, Senza delitto di Alfonso Postiglione, Neon di Francesco Cannito, Il vampiro di Marco Speroni.
Chiara Guarducci
inizia il suo lavoro di drammaturga nel 1999, dopo l’esordio poetico con Fino a dimenticare (Gazebo). I primi monologhi vengono rappresentati al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, tutti interpretati dall’attrice Silvia Guidi, con cui collabora fino al 2004, creando un teatro inquieto, intimo e surreale, che si spinge a precipizio nelle incarnazioni dell’anima, dando voce a creature eccessive e indomabili. Tra gli ultimi testi scritti, Il balordo, liberamente ispirato a Un uomo perbene è difficile da trovare di Flannery O’Connor, rappresentato nel giugno 2008 al Cimitero degli Inglesi di Firenze, oltre a Bye Baby, di cui un primo studio è andato in scena il 19 maggio 2009 al ridotto della Pergola di Firenze.
Romano House Catania said,
Novembre 24, 2010 @ 17:36Il prossimo appuntamento si terrà al Romano House Hotel di Catania:
Bye baby suite
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