di Maddalena Ferrari
Il documentario è la storia affascinante di un progetto ideato e messo in atto dall’intellettuale e musicista palestinese Edward Said e dal grande direttore d’orchestra israeliano Daniel Barenboim: la West- Eastern Divan Orchestra, nata nel 1999 con l’intento di raccogliere giovani musicisti israeliani, arabi, palestinesi e far vivere attraverso loro la grande musica.
Il fascino del film è dovuto a tre fattori.
Innanzitutto il progetto in sé, che implica un messaggio forte, in quanto fa crescere dei giovani intorno ad un comune lavoro di studio, esercizio e ricerca e dimostra che è possibile “la pace” tra israeliani, palestinesi e altri arabi, per mezzo della conoscenza reciproca, lo scambio di idee e competenze, l’attività e le finalità comuni.
In secondo luogo la bellezza di questa storia, che il regista imposta secondo una narratività, ricca di momenti di tensione, difficoltà, felicità, commozione, dovuti anche alla drammatica situazione politica: non possiamo non appassionarci al cementarsi degli elementi dell’orchestra, al loro lavoro insieme ( le prove, i concerti ), al loro discutere e parlare dei problemi esistenziali, che poi sono anche politici: il dramma dei ragazzi palestinesi, che si sentono segregati o esclusi, e di quelli israeliani, che provano incertezza e, in qualche caso, diffidenza verso gli arabi; ma soprattutto col pisce e avvince la complicata, difficile vicenda dello storico concerto a Ramallah, del 2005, alla fine del quale gli orchestrali d’Israele sono costretti quasi a fuggire in tutta fretta con la loro scorta, procurando una separazione dagli altri, che sembra una lacerazione insanabile. C’è nel racconto un fluire di stati d’animo e di sentimenti, che lega sempre di più i protagonisti a ciò che fanno, gli uni agli altri e tutti al direttore.
Daniel Barenboim, meravigliosa persona di intelletto e di cultura, con quel suo volto curioso e un tantino impertinente da ragazzo, è il terzo motivo di fascino del film, la sua anima: lui che insegna, dirige, ma anche incontra, discute, cerca risposte ai problemi e segni di verità; lui che parla della musica, della politica, del rapporto che esiste tra loro, dell’amico Said, che è nel frattempo morto, e del legame che lo univa a lui, sorridendo con autocommiserazione per la solitudine in cui la sua scomparsa lo ha lasciato; lui che cresce insieme al progetto cui ha dato vita; lui che elabora idee di pace e di democrazia, in contrasto con la politica del governo israeliano, ed ha il coraggio di dirle apertamente, alla Knesset ( ha appena ricevuto il Wolf Prize ), suscitando la gelida ira del ministro della cultura, presente alla cerimonia, e rispondendogli con serenità, ma senza reticenze.
In questo contesto la musica che ci viene fatta ascoltare, soprattutto quella di Beethoven, assume una valenza di particolare intensità: accompagna ed esiste.
Knowledge is the Beginning
di Paul Smaczny
con Daniel Barenboim ed Edward Said.
Germania 2005. Durata: 114’. (v.o. inglese, sott. it.)
è bellissimo!!! sto vedendo il DVD in classe!!!! e poi io suono anche il piano
straordinaria è la passione che mette il direttore d’orchestra D.Barenboim ai ragazzi. E grazie a questa bellissima iniziativa, due popoli storicamente in conflitto, hanno ripreso a “dialogare” attraverso le note musicali…
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ELVIRA said,
Settembre 8, 2010 @ 06:39Esempio di come una situazione drammatica risveglia un’aspirazione etica: grazie alla musica rende possibile il dialogo tra diversi nel dire che “non vogliono portare la pace ma la conoscenza attraverso l’azione”. Avere il coraggio delle propie azioni e rendere il linguaggio musicale una via per fare Cultura Spirituale.