All’inizio, un mitico,scandaloso Duello al sole impresse nei miei occhi di piccolina immagini dai colori accesi dei volti sudati e ansanti dell’uomo e della donna amanti-nemici.
Poi il cinema è la sala parrocchiale del paese ed è quasi esclusivamente il bianco e nero: La maestrina, Oliver Twist, 47 morto che parla… ma sopratutto gli eroi strappalacrime Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson. Sono emozioni e sentimenti, gioco, evasione e identificazione.
Più tardi, folgorante, la scoperta del cinema come arte si manifesta sotto le spoglie di 8 e mezzo di Fellini: il linguaggio metaforico, i diversi piani di lettura, la relatività e la soggettività dei punti di vista; la fotografia luminosa, le immagini espressioniste; e un uomo-bambino che non può e non vuole sradicarsi dal calore e dall’immaginario creativo dell’infanzia.
Arrivano poi i grandi amori. Innanzitutto e più di tutti, Bunuel: la leggerezza della rappresentazione del conflitto fra l’io e l’es; la bizzarria e la necessità dell’invenzione; la bellezza e la fascinazione del raccontare. Ma anche Bergman: l’esuberanza frenetica delle energie, delle istanze vitali; lo scavo e la problematicità degli interrogativi esistenziali; la ricchezza dell’immaginario visivo.
Negli ultimi anni, si impone, al centro della mia ricerca e del mio piacere di vedere film, il cinema iraniano: Kiarostami, i Makhmalbaf, ma non solo.E’ un ritorno alle origini del fare cinema, una ricerca nel processo di conoscenza dell’io e della storia e nella creazione artistica…
da: La linea dell’occhio n. 58