È più seducente vedere il sinuoso corpo di Marilyn avvicinarsi lentamente all’obiettivo e ai nostri sensi palpitanti oppure l’apparizione improvvisa e mozzafiato del volto ammaliante di Rita Hayworth?
Qualunque sia la risposta, la nostra percezione di spettatori di fronte a tali fenomeni è indotta ed accentuata da meccanismi ritmici, estetici, psicologici che fanno capo ad una delle fasi più affascinanti della realizzazione di un film: il montaggio. Il personaggio interpretato da un’attrice famosa può essere presentato agli altri personaggi (e quindi al pubblico) con un effetto sorpresa, il volto inconfondibile della diva che soltanto successivamente mostra il proprio corpo alla cinepresa, oppure con un procedimento inverso, che al corpo idolatrato attribuisce gradualmente l’identità del volto. Addirittura è possibile misurare la potenza divistica di un attore sulla quantità di scene in cui gli altri personaggi del film lo guardano.
Di montaggio divistico e di tutti gli altri tipi di montaggio che hanno caratterizzato la storia della settima arte si occupa Federico Vitella in Il montaggio nella storia del cinema. Tecniche, forme, funzioni, presentato alla Mediateca di Firenze il 26 ottobre, con la partecipazione, oltre dell’autore, di Giuseppe Panella, Sandro Bernardi e Federico Pierotti.
“La novità del libro” dice Panella “è il recupero di una tradizione di studi sulla materialità del testo filmico”. Lo stesso Vitella spiega che uno dei criteri adottati nella sua ricerca è la divisione in epoche della storia del montaggio sulla base delle tecniche utilizzate: dal montaggio manuale all’introduzione della moviola, per arrivare al digitale. L’importanza di questo aspetto è ribadita da Panella, che ricorda come i lunghi tempi di montaggio portavano a capolavori, come quelli di Welles, che girava alla svelta ma passava poi molto tempo alla moviola.
“Gli stessi proiezionisti ed esercenti” afferma Pierotti “a volte sono dei montatori: basta pensare a The Great Train Robbery di Porter, la cui scena del pistolero che spara contro l’obiettivo veniva inserita all’inizio o alla fine del film, secondo l’effetto che si voleva ottenere sull’incuriosito ed ‘ingenuo’ spettatore di quel tempo”.
Sempre parlando di materialità, Pierotti fa notare l’importanza del contributo femminile al montaggio, un’arte forse più adatta alle mani e alla pazienza delle donne. “Se il cinema di Dziga Vertov è un cinema di montaggio e la sua montatrice era la moglie, chi dei due era il vero autore?” si chiede Bernardi, che aggiunge ai meriti di Vitella quello di aver unificato nel suo libro la prospettiva strutturale (con l’applicazione del principio chiave del rapporto tra numero di inquadrature e durata del film) e la prospettiva storica.
Sulla storia del montaggio si sofferma Panella, partendo dal periodo delle avanguardie, quando regista e montatore erano la stessa persona (o al massimo coniugi!!), passando per il cinema classico, che vede l’affermarsi del ruolo professionale del montatore, per il cinema hollywoodiano, nel quale spesso il montatore è il braccio armato del produttore, che vuole l’ultimo controllo sul film (cut – director’s cut – final cut) (e in questa funzione di connessione al processo industriale si colloca il già citato montaggio divistico) per arrivare al cinema moderno, in cui il montaggio è funzionale invece ad un preciso progetto registico e cinematografico, e a quello postmoderno, in cui contribuisce fortemente alla stratificazione del senso e della ricezione dello spettatore.
Sulle prospettive future Panella ci lascia in sospeso: “Il cinema digitale non è cinema. Aspettiamo a dargli un nome. Le cose si capiscono sempre dopo, quando si capiscono”.
Federico Vitella è autore anche di Geometrie dello sguardo. Contributi allo studio dei formati nel cinema italiano, scritto insieme a Luca Mazzei.
Federico Vitella, Il montaggio nella storia del cinema. Tecniche, forme, funzioni, 199 pagine, brossura, euro 12,50, Marsilio
movie said,
Novembre 23, 2009 @ 04:54bene blog :….. Norvegia cinematografico studente jacob