di Gianni Quilici
Piace agli spettatori, piace alla critica. Woody Allen ha colpito nel segno. “Basta che funzioni”, infatti, ha due pregi: l’immediatezza della battuta geniale, ma anche una sottile, nascosta e disperata filosofia esistenziale. Così è filosoficamente unilaterale, ma con una vena ironica micidiale.
L’unilateralità è data dai personaggi: lui, Boris, pelato e allampanato, ex scienziato e Nobel mancato, intransigente e misantropo, nichilista e suicida fallito; lei, Melodie, bionda ex regina di bellezza, dolce e solare ed ingenua fino a sfiorare la scemenza; la madre di lei, Marietta, frustrata e conformista, che scopre d’essere artista e le gioie del sesso a tre; il padre, Perry, bigotto e depresso, che scopre la propria latente omosessualità.
Tutti personaggi che corrispondono ad uno stereotipo, la cui trasformazione è essa stessa uno stereotipo. Quindi se il film si legge psicologicamente non regge. La domanda da farsi è un’altra: “Basta che funzioni” ha una vitalità espressiva, che utilizza lo stereotipo per andare oltre?
Sì, perché la pellicola è sorretta da un’idea profonda ed amara che ruota intorno alla filosofia esistenziale di Boris: quella di un pessimismo radicale non solo verso la natura umana oggi, ma la natura umana tout court; una sorta di pessimismo, che potremmo definire, leopardianamente, cosmico. Che altro è la vita se non illusione? La vita, infatti, ha poco valore e anche quel poco finisce per scomparire nell’indifferenza del cosmo. Cosa rimane? Che essa funzioni; ossia un po’ di felicità. Si potrebbe dire: dal macro al micro. Un pessimismo cosmico, ma alla Woody Allen.
Questa filosofia -qui sta la forza del film- è espressa da Boris con vaniloqui acidi e fulminanti, che colpiscono soprattutto mode e cliché, ma anche svelano la natura artificiale dello stesso cinema e anche di noi spettatori, scovati dal suo sguardo diretto e, quindi, messi in discussione come altri protagonisti di questa illusoria messa in scena che è sia il film che l’esistenza. In questi due poli: ironia-paradosso-gioco da una parte e disperazione-nichilismo dall’altra Woody Allen trova il suo felice equilibrio.
Larry David è il perfetto alter ego di Allen, Evan Raquel Wood (Thirteen) è una Marilyn Monroe neppure troppo rivisitata. Bella la fotografia di Harris Savides, che, nota Cristina Piccino, “illumina una New York eccentrica, quasi ‘outsider’ ”.
Basta che funzioni (Whatever Works)
Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen
Attori: Evan Rachel Wood, Henry Cavill, Larry David, Patricia Clarckson, Kristen Johnston, Ed Begley Jr., Michael McKean, Yolonda Ross, John Gallagher Jr., Lyle Kanouse, Willa Cuthrell-Tuttleman Ruoli ed Interpreti
Fotografia: Harris Savides
Montaggio: Alisa Lepselter
Produzione: Gravier Productions, Wild Bunch
Distribuzione: Medusa Film
Paese: USA 2009
Durata: 92 Min
roberto costa said,
Ottobre 10, 2009 @ 19:42E’ vero, una New York che sembra Parigi, tra caffeucci, bancarelle dell’usato e case sull’acqua. Più Woody Allen si addentra nella sua città, più la sua visione appare europea: filosofia leopardiana, anticonformismo, sguardo a 360° oltre gli stereotipi e distacco ironico che permette di essere attori e spettatori, fuori e dentro il film nello stesso tempo, vivi e morti, misantropi e simpatici, geniali e fragilissimi. Forse il miglior Woody Allen senza Woody Allen, che chissà se tornerà sullo schermo, sapendo di non poter più parlare con la voce di Oreste Lionello…