“Lucca Film Festival” tra serial-killer d’autore e Kabul

di Gianni Quilici

sombre_affiche_image_01Quarta giornata: 20ottobre, ore 17.40, sta per iniziare Sombre del regista francese Philippe Grandrieux. Poca gente. Peccato! Il film sarà, al di là dei risultati, interessantissimo. Un marionettista enigmatico, il Tour de France che, ad intermittenza, appare, le donne che casualmente lui incontra e uccide; l’incontro con due sorelle -una pudica e riservata, l’altra disponibile e seducente- … Qualcosa cambierà per non cambiare…

A raccontarlo così sembra un film come tanti. Non è così. Dentro il filo della storia c’è un lavoro sul linguaggio (complesso), che diventa contenuto, perché si applica allo sguardo del protagonista e, ancora più profondamente, alla sua condizione ossessiva di serial killer o meglio ancora alle ragioni di questa.

Per buona parte “Sombre” vive in una dimensione onirica, crepuscolare o notturna, con una luce sospesa o incombente, effetti sonori vuoti e nello stesso tempo densi o disturbanti, inquadrature a volte ravvicinatissime a creare sfuocature di immagine (come per esempio nei rapporti sessuali), altre volte saltellanti-ondeggianti, montaggi rapidissimi o bruschi che producono salti percettivi: dall’atmosfera di sogno a quella cruda, perché improvvisa, di una realtà quotidiana.

Il proposito è forse quello, come scrive Alessandro Baratti nell’acuta recensione presente sul catalogo, di imprimere “a tutte le inquadrature un coefficiente di soggettività che le rende diretta emanazione dello sguardo dei personaggi, anche quando tecnicamente non sono soggettive: quello che vediamo è la loro interiorità, sempre, e non un’immagine neutra della realtà”:

Ne viene fuori un film che non ti prende alla gola, perché non crea, non vuole creare nessun rapporto neppure partecipativo con il protagonista, che rimane misterioso a noi come al regista, oggetto fenomenologico non altro, ma ti sollecita domande e riflessioni, ti pone quindi in uno stato di ricerca e di interrogazioni continue. Un film, forse, anche compiaciuto del proprio mistero (linguistico), da ri-vedere.

Grazie zia di Salvatore Samperi, invece, nasce sull’onda politico-erotica della fine degli anni ’60, superficialmente rivoltoso, banalmente mortuario. Rimane tuttavia visivamente per il rapporto sado-masochistico tra, verrebbe grossolanamente da scrivere, le cosce nude di Lisa Gastoni e il volto sarcastico di Lou Castel, a cui la musica di Ennio Morricone dà un ritmo infantilmente irridente.

La serata si conclude con un altro (incredibile) salto geografico: Kabul. Storie d’armi e di piccoli eroi di Giuseppe M. Gaudino e Isabella Sandri si svolge, infatti, interamente a Kabul tra il 2003 e il 2006 e rappresenta due storie che si incrociano: Kakà Shirin, rimasto orfano, che si arrangia con mille lavoretti fino a quando incontra Mr.Wali, l’assistente sociale, che lo porta in una scuola, che alfabetizza, insegna un mestiere, dà qualche strumento per dare un senso più consapevole alla vita. Il documentario ha il merito di farti entrare dentro la vita quotidiana di Kabul: nelle case sventrate e nelle strade tra gente che cerca di arrangiarsi in mille modi, con grandi tragedie alle spalle e molta rassegnazione (così appare) negli occhi. Il limite è qualche ripetizione, che rallenta il ritmo ed anche l’efficacia del film.


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