di Gianni Quilici
Attenzione alla puttana santa, un film di Fassbinder del 1970, è stato qui riproposto per la personale su Lou Castel, che ne è l’attore protagonista, e su cui scriveremo alla fine del Festival, dopo la visione degli altri film da lui interpretati.
Qui è il caso di soffermarsi su questo film, che secondo Davide Ferrario (che su Fassbinder ha scritto una acuta monografia sul Castoro), costituisce uno spartiacque nella prolifica cinematografia del regista tedesco, in quanto è con “Attenzione alla puttana santa” che Fassbinder ritrova il suo tempo, come autore, quello del cinema, ma innervato nella vita, mentre fino ad allora questo rapporto tendeva ad essere rovesciato, imponendo alla vita il tempo del cinema; da cui risulterà, nei film successivi, una più forte autorialità del regista.
“Attenzione alla santa puttana” è un film nel film, ossia una riflessione per un verso sulla vita della troupe durante lo svolgersi del film; per un altro verso sul film stesso nel momento stesso in cui lo si gira, con il risultato che il film realizzato è un’altra cosa ancora: la coscienza che il regista possiede di questo tipo di rapporto.
Fassbinder rappresenta la vita della troupe in modo magistrale e si potrebbe aggiungere molto attuale: una girandola di micro-sentimenti e di rapporti interpersonali molto frammentati e tra loro contraddittori: desideri e gelosie, possessi e tradimenti, sadismo e masochismo, sfruttamento e oppressione, in una tensione altalenante tra l’isterismo e l’apatia.
Tutto questo materiale che potrebbe risultare drammatico è però svuotato e raggellato dal linguaggio stesso. Un montaggio che frammenta e, in certi casi, velocizza l’azione, che opera sempre una distanza, impedisce una narrazione concatenata e avvincente, cerca la riflessione, non l’identificazione. E un film che, soprattutto nelle sequenze finali, acquista una libertà cinematografica molto concentrata e visionaria, con la bellissima scena in cui il pestaggio del regista avviene, dettaglio tra dettagli, tra musica, danza e conversazioni.
Molto duro e luminoso, geometrico e sfaccettato, aperto e spietato il mediometraggio di Francois Ozon “Regarde la mer”. Un rapporto madre-figlia quasi simbiotico, la stessa madre-donna-moglie, rimasta contingentemente sola, ingenua (nella sua disponibilità) e desiderosa, una ragazza “estranea” selvaggia e misteriosa, paranoica e pericolosa, una natura palpitante e luminosa, ma lontana. Una conclusione secca e inesorabile come la dimostrazione di un teorema.