di Gianni Quilici
Terza giornata del Lucca Film Festival. Una giornata interessante, nonostante gli inconvenienti.
Cinematon di Gérard Courant. 4 minuti con macchina fissa sul volto di profilo immobile di Lou Castel. Cannes 1981. Sembra una foto, che diventa cinema per il tempo che scorre, per un vento leggero che gli sommuove appena fili di capelli che dalla fronte spiovono fra gli occhi, finché l’attore si volta di fronte a noi e guarda, gli occhi stretti e allungati, uno sguardo leggero senza forzature, un pensiero sul viso, che lo rende sospeso, indefinibile. Sullo sfondo tra mare, terra e cielo un volatile, per un attimo, passa. Quasi un ritratto poeticamente involontario a futura memoria.
Segue poi Transfert per camera verso virulentia di Alberto Grifi che, dopo aver utilizzato effetti ottici che lo deformano, ci spiega in forma assolutamente didattica l’uso diverso fattone dal cinema commerciale e d’avanguardia, introducendo un video realizzato, oltre che con Lou Castel, con il filosofo Aldo Braibanti, accusato, condannato e poi scarcerato negli anni ’60 per un’accusa di stampo medievale: il plagio. In questo corto le lenti, i prismi a diffrazione cromatica, gli specchi deformanti, aggiunti alla macchina da presa, dovrebbero servire a ritrovare un nuovo sguardo, ad affinare ed approfondire le percezioni visive, facendo tesoro del cinema surrealista, ed in generale, d’avanguardia degli anni ’20.
Alberto Grifi ci riesce? Risposta difficile. Viene da pensare a “Come farsi corpo senza organi?” di Deleuze e Guattari . Perché in “Transfert …” c’è una destrutturazione dell’organismo, svuotato dei suoi principi disciplinari e autoritari, c’è il tentativo di tornare ad immaginare il mondo come pesci, anfibi, rettili…. Uno sguardo difficile da “riprendere”. Forse necessiterebbe di maggiori mediazioni visive tra ciò che oggi noi siamo e quello originario lontanissimo ere ed ere nell’evolversi della specie. Giudizio, quindi, sospeso.
Ma ciò che ha paradossalmente colpito di più è stato Grenouilles (Rane) del regista spagnolo Adolfo Arrieta, presente in sala, che fa interrompere la proiezione a metà, perché la copia inviata dalla RAI, che prossimamente lo trasmetterà a “Fuori orario”, non era la copia giusta (di quelle dieci da lui ossessivamente realizzate). E tuttavia quello che abbiamo visto, nonostante anche la qualità (mediocre) della visione, ha lasciato presagire un film davvero notevole, sospeso tra il giallo e la fantascienza, in un’atmosfera enigmatica ed un erotismo sottile, tra magia e catastrofe. Lo hanno detto gli applausi convinti e prolungati del pubblico presente.