di Andrea Marabotti
“L’uomo che aveva picchiato la testa” è un documentario, un omaggio al grande cantautore livornese Bobo Rondelli, nato nel 1963, ed allo stesso tempo una ricerca sui motivi della sua fuga dal successo e su quanto ha influito la sua città (“viaggio di andata senza ritorno bella Livorno mi fermo qui”) su tutto ciò. Paolo Virzì lo segue, cerca altri livornesi illustri e no, altre testimonianze che portino a cercare di capire chi è il grande Bobo.
Bobo Rondelli è stato il leader del gruppo Ottavo Padiglione (reparto psichiatrico dell’ospedale di Livorno), che nel 1993 ha pubblicato il primo album omonimo e il singolo “Ho picchiato la testa”. Un discreto successo, 30.000 copie vendute, il produttore dei Litfiba, ma poi tutto si è perso per strada, tutto tranne il talento e la vena artistica di Bobo: l’Ottavo Padiglione pubblica ancora “Fuori posto”, “Ondereggae” e “Best a bestia/Ultima follia”, con canzoni che tratteggiano personaggi e luoghi dell’amata patria Livorno. Bobo pubblica due dischi solisti, “Figlio del nulla” e “Disperati intellettuali ubriaconi” (con gli arrangiamenti di Stefano Bollani), e proprio in questi giorni, dopo un lungo silenzio discografico, è uscito il nuovo album “Per amor del cielo”, bellissimo e struggente, di cui alcune canzoni abbiamo potuto ascoltare in anteprima in “L’uomo che aveva picchiato la testa”.
Il film si articola su vari piani: segue Bobo nella sua vita di tutti giorni, indaga l’importanza della famiglia nella sua vita, l’amore per i figli, i litigi con la moglie e la voglia di chiedere scusa (cita il Piero Ciampi di “Sporca estate”: “e tu che dici che ho distrutto la tua vita capirai mai che il tuo dolore si è aggiunto al mio?”), la simpaticissima e livornesissima mamma che racconta come Bobo da piccolo abbia davvero “picchiato la testa”, e poi il rimpianto per il padre che non c’è più, e l’identificazione con lo zio Berto che ritroviamo nel racconto che Bobo recita in uno spettacolo, e che è tratto dal suo libro “Compagni di sangue”.
E poi ci sono le testimonianze: Stefano Bollani, Paolo Migone, Daniele Caluri, Federico Maria Sardelli, Carlo Monni, Davide Riondino, gli Snaporaz, tutti a indagare il perché un così grande talento non ha “sfondato”, e cosa c’entra tutto questo con la sua livornesità.
E qui non può non comparire la figura enorme di Piero Ciampi, un altro che non ha mai accettato compromessi e che ha vissuto sempre ai margini dell’industria discografica: il livornese che non sa gestire il successo, che non scende a compromessi e che preferisce mandare “affanculo” anche i potenti, anche chi il successo glielo potrebbe garantire. Bobo e il suo genitore artistico, di cui ha interpretato “Io e te Maria”, sono identici.
Poi c’è Bobo e la sua musica, le sue parole, i suoi personaggi, prevalentemente perdenti e ultimi come in De Andrè: “Gigi balla”, l’orso che “ballava perché un dente gli doleva” al Parterre di Livorno, ma nessuno capiva il suo dolore, “Giulio” il vecchio pervertito che “regalava caramelline” nei giardini della stazione di Livorno e che finisce all’ospedale, e poi l’omaggio al suo quartiere popolare Shangai in “Hawaii da Shangai”, ricostruita da Virzì col figlio di Bobo, Alessandro, che interpreta il padre da piccolo, quando nei sogni “là in fondo alla ferrovia tra le case di operai si vedevano le Hawai”. E “Casa del popolo”, descrizione delle facce che si incontrano in un luogo che sta scomparendo, “L’ultima danza”, ultimi sogni di un vecchio su una panchina, e le puttane di “Fiori nell’asfalto”, i “Vitelloni” disperati intellettuali e ubriaconi che portano avanti una vita inconcludente (“colpa della società”), gli odiati “ameriani” di “Gimme money”, e poi la nuova bellissima “La marmellata”, che nei titoli di coda Bobo canta insieme ad un’altra grande livornese, Nada: una canzone in cui i ricordi non portano più dolore, ma in cui anche la nostalgia, qui sotto forma di marmellata, porta ad essere felici e in pace con sé stessi. E l’amore per Livorno esplode anche nella canzone, nuova anch’essa, che accompagna i titoli di testa girati da Virzì nei pressi di Calafuria (i luoghi del “Sorpasso”), “Madame Sitrì” (una storica prostituta livornese): coloro che passano da Livorno, marinai, soldati, si fermano, cercano un biglietto di sola andata, rifiutano altri viaggi, altre guerre, Livorno diventa un paradiso e nello stesso tempo si identifica in un bordello (“come a Paris”): ma per Bobo è una dichiarazione d’amore.
Paolo Virzì ha girato un ottimo documentario dove l’anima e la personalità del grande Bobo, e della sua Livorno, emergono mettendo insieme tanti frammenti, testimonianze, canzoni, e il film lascia un po’ di malinconia per le strade perdute da Bobo, ma allo stesso tempo riempie di orgoglio perché c’è ancora qualcuno che difende la sua arte rifiutando compromessi e portandola avanti a costo di trovarsi ad esibirsi alla Sagra del Fritto o giù di lì.
Ma questo film, e il nuovo disco, in cui Bobo fa emergere la sua vena intimista e lascia da parte per una volta l’ironia, saranno sicuramente un nuovo punto di partenza per il grande Bobo, le cui canzoni rimangono comunque per chi le conosce tutte scolpite nella propria esistenza.
L’UOMO CHE AVEVA PICCHIATO LA TESTA
Italia 2009
Regia: Paolo Virzì
Interpreti: Bobo Rondelli
Durata: 75’
DVD