“Il canto di Paloma” di Claudia Llosa

di Gianni Quilici

Immaginando una rassegna di film che esplorino l’America Latina in generale e il Perù in particolare, uno dei titoli da inserire potrebbe essere questo Il canto di Paloma della giovane regista Claudia Llosa, che, con il suo secondo lungometraggio, è arrivata a vincere l’Orso d’Oro all’ultimo festival di Berlino.

C’è innanzitutto nel film il paesaggio geografico e sociale, folkloristico e culturale di ieri e di oggi: la desolazione di un villaggio nella periferia di Lima con le baracche che si accatastano confusamente una vicina all’altra; un terreno arido, privo di verde; la povertà e però anche l’allegria di chi vive all’aperto; il matrimonio con il suo complesso rituale tanto diverso da quelli Occidentali; le stratificazioni nette tra le classi sociali ecc, ecc.

Tutto reso con efficacia da un taglio documentaristico, che sa farsi anche visionarietà e spettacolo, senza falsificare. Tuttavia immagini già (intra)viste, presenti nell’immaginario visivo dell’America-latina.

L’originalità del film sta nella protagonista e nello scavo antropologico che Claudia Llosa è riuscita a trasmettere. “Il canto di Paloma” è l’ultimo canto con cui una madre prima di morire racconta alla propria figlia, Fausta, di averla allattata con il “latte del dolore” per tutte le violenze subite durante gli anni del terrorismo. Il trauma trasmesso alla figlia percorrerà tutto il film e tutti i problemi che Fausta dovrà affrontare sia per dare degna sepoltura alla madre, sia per guardare più da vicino i demoni della propria paura per la sessualità.

Ma che cos’è “La teta asustada” (tradotta alla meglio con il “latte del dolore”)? Lo spiega bene la regista stessa: “ È una forma di sindrome atavica che comporta la paura della sessualità ed una difficoltà innata a rapportarsi con gli uomini da parte di tutte quelle donne figlie di una violenza e di un abuso sessuale. E’ una credenza sviluppata nell’ultimo ventennio, per gli innumerevoli stupri perpetrati da parte dei gruppi armati ribelli soprattutto nella zona andina, e che riguarda quindi molte delle ventenni come la mia protagonista, Fausta. E’ un principio che agisce principalmente a livello inconscio, e per questo interessa più gli studi antropologici o psicanalitici che la medicina generale, ma è altrettanto ovvio che il dolore di cui parla è reale”.

Claudia Llosa riesce a trasmettere questa profondità psicoanalitica e al tempo stesso storica per come articola la psicologia della protagonista e per come Magaly Solier interpreta (magistralmente) Fausta.

Il volto di Fausta, bello “come un dipinto di Gaugin” (Anna Maria Pasetti da VivilCinema), armonioso, delicato, gelido e apparentemente distaccato, in realtà percorso da fremiti sottili di paura, diventa poi “preso”, anche qui impercettibilmente, dal giardiniere (della signora ricca e pianista, di cui fa la serva), perché, a differenza degli altri, lui è capace di interpretare e di comunicare “senso”. Di colpire, cioè, la ragazza, che si sente protetta, non assalita.

La bellezza poetica del film è nel lasciare trapelare soltanto, per sottili segni, come nello splendido finale (la sepoltura della madre e il regalo del giardiniere), un’apertura al mondo, l’inizio di una possibile liberazione.
Un processo di liberazione che non poteva essere ostentata, né urlata, affondando in secoli di repressione di una società arcaica, che Claudia Llosa ben rappresenta.

Il canto di Paloma (La Teta Asustada)
Regia: Claudia Llosa
Sceneggiatura: Claudia Llosa
Attori: Magaly Solier, Marino Ballón, Susi Sánchez, Efraín Solís, Bárbara Lazón, Karla Heredia, Delci Heredia, Anita Chaquiri Ruoli ed Interpreti
Fotografia: Natasha Braier
Montaggio: Frank Gutierrez
Musiche: Selma Mutal
Produzione: Oberon Cinematográfica, Wanda Visión, Vela Producciones
Distribuzione: Archibald Enterprise Film
Paese: Spagna, Perù 2008
Durata: 103 Min

roberto costa said,

Giugno 20, 2009 @ 14:42

Psicanalisi, sociologia, antropologia. Raramente sullo schermo queste “discipline” riescono a compenetrarsi e a relazionarsi con efficacia ed equilibrio. Il film di Claudia Llosa è una piccola grande lezione di cinema nella quale asciuttezza e lucidità, poesia e simbolismo vanno a comporre il ritratto di una persona e di una società, senza dimenticare la tensione narrativa e la cura dell’immagine. Cinema sudamericano in grande spolvero negli ultimi anni, con nuovi registi assai interessanti, vedi Larrain, Martel, Trapero…

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