di Gianni Quilici
Teresa Marchesi, nota giornalista di RAI 3, per ricordare-testimoniare Fabrizio De André sceglie una strada semplice ed efficace.
Utilizza, infatti, il cantante e l’uomo. Quindi i concerti e le interviste. Li mescola bene cinematograficamente, dando loro quel ritmo giusto e non solo. Il risultato è buono. Altri registi, famosi, con più ambizioni e molti più mezzi, nello stesso tipo di operazione di testimonianza, non ci sono riusciti.
Perché (lei) sa creare un’armonia tra canzoni e parola, tra la musica e le idee di De André.
Tagliando le interviste con le canzoni e viceversa le canzoni con le interviste, ma eliminando anche chi intervista, lei Teresa Marchesi o altri, e lasciando, invece, su metà schermo a volte il sottofondo del concerto, più spesso De André in movimento.
Inserendo filmati inediti di grande suggestione e qualche chicca imprevista: Wim Wenders capellone ingrigito, che indica in De André uno dei pochi grandi poeti cantanti del XX secolo.
Ci sarebbe poi Fabrizio De André artista: cantante, musicista, poeta. Discorso difficile, che va oltre il film-video prodotto e che lascio ad altri, competenti.
Posso annotare soltanto alcune (elementari) impressioni.
Il cantante: una voce splendida e riconoscibile, grave e leggera, perché naturale, priva di forzature.
Il musicista: dalla musica più semplice ad una elaborazione strumentale sempre più complessa e intrigante.
Il poeta: nel corso del tempo sempre più versatile: romantico e sentimentale, gioioso e pacifista, plurilinguista e metaforico.
Fabrizio De André. Effedia. Sulla mia cattiva strada .
di Teresa Marchesi
Principali interpreti: Fabrizio De André, Dori Ghezzi, Wim Wenders, Mina, Sergio Castellitto, Vasco Rossi, Fiorello, Gabriele Salvatores, Franco Battiato, Fernanda Piovano.
Italia 2008. Durata: 87′. € 14,90.
Andrea Marabotti said,
Marzo 21, 2009 @ 11:59Scrivo per la prima volta su Fabrizio perché in questi dieci anni ho visto scrivere e sentito parlare troppo di lui, non sempre a proposito. Libri, tributi, documentari, non sempre tutto necessario, non sempre tutto all’altezza di tutto quel che di bello ci ha lasciato. Un esempio per tutti quello che doveva essere un bellissimo documentario, “Effedia”, in cui a un certo punto irrompe l’inutile Fiorello a spezzare definitivamente l’emozione, senza dire niente di fondamentale, se non che Fabrizio secondo lui era anche un “cazzaro”. Che torni a fare il karaoke! Oppure libri che cercavano tirare forzatamente le parole di Fabrizio dalla loro parte, che sia ecclesiastica (“Il Vangelo secondo De André”) o di sinistra (“Gli occhi della memoria”). Fabrizio era un anarchico, si devono rassegnare tutti.
Fabrizio se ne è andato dieci anni fa esatti, ma oltre a purtroppo non essere invecchiato lui, non invecchiano per niente le sue parole, a testimoniare che si tratta di una figura centrale non solo della musica ma della cultura italiana del novecento (e oltre, verso l’infinito…). Se volessi parlare approfonditamente di tutto ciò che è stato, è e sarà Fabrizio, ci passerei tutto il resto della mia vita, faccio solo alcuni esempi.
Fabrizio è uno che nel 1967, mentre l’Italia cercava di rimuovere il suicidio di Luigi Tenco e di reimmergersi in capolavori come “Io, tu e le rose” (e oggi purtroppo molta musica italiana discende più da quella roba lì che da Luigi e Fabrizio e il pubblico ne è colpevolmente soddisfatto), scriveva “Preghiera in gennaio” per ricordare l’amico morto e chiedere a Dio di accoglierlo fra le sue braccia anche se si trattava di un suicida (uno di quelli che “all’odio e all’ignoranza preferirono la morte”).
Fabrizio è uno che a ridosso del sessantotto riesce ad affrontare un tema come il cristianesimo e a scoprirne le istanze più moderne e attuali nel 1970 con “La buona novella”, concept album ispirato ai “Vangeli Apocrifi”.
Fabrizio è uno che con quello che secondo me è il capolavoro almeno della prima parte della sua opera, “Non al denaro, non all’amore, né al cielo”, ha preso alcuni brani di un classico della letteratura, l'”Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters, e li ha superati in profondità e riflessione esistenziali, facendoci capire con poche semplici parole che la vita, come lo è per il suonatore Jones, deve essere “ricordi tanti, e nemmeno un rimpianto”.
Fabrizio è uno che ha tentato di farci capire che “quello che non ho è quel che non mi manca”, e che nella semplicità della vita di popoli che nella storia sono spesso stati vittime di soprusi possiamo trovare qualcosa da imparare per la nostra esistenza.
Fabrizio è uno che ci fa capire che chi “sa di raccogliere in bocca il punto di vista di dio” è qualcuno in malafede che vuole conservare il suo potere e a cui torna comodo che popolazioni come quella rom vengano viste male dal popolo con un occhio troppo generalizzato, gonfiandosi sempre in cori di “vibrante protesta”, per poi, passato il telegiornale, concentrare le proprie attenzioni ed emozioni su cosa contenga il pacco del concorrente di turno ad “Affari tuoi” (cazzi loro).
Fabrizio è uno che un’esperienza terribile come quattro mesi di sequestro l’ha trasformata in altissima poesia in “Hotel Supramonte” (“e ora siedo sul letto del bosco che ormai ha il tuo nome, ora il tempo è un signore distratto, un bambino che dorme”).
E poi Fabrizio è uno che “non regalate terre promesse a chi non le mantiene”, “continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai”, “è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati”, “e non per un dio ma nemmeno per gioco: perché i ciliegi tornassero in fiore”, “per quanto voi vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti”, “nella pietà che non cede al rancore, madre ho imparato l’amore”, “i vecchi quando accarezzano hanno il timore di far troppo forte”, “ho licenziato dio, gettato via un amore, per costruirmi il vuoto nell’anima e nel cuore”, “dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior”, “se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo”, “per la stessa ragione del viaggio viaggiare”, “cantami di questo tempo l’astio e il malcontento di chi è sottovento”, “la domenica delle salme fu una domenica come tante, il giorno dopo c’erano i segni di una pace terrificante”, “e in una berretta nera la tua foto da ragazza per potere baciare ancora Genova sulla tua bocca in naftalina”, “potrei attraversare litri e litri di corallo per raggiungere un posto che si chiamasse arrivederci (in alcune versioni live “arrivederci” diventa “anarchia”, n.d.L.K.)”, “e adesso aspetterò domani per avere nostalgia signora libertà signorina fantasia (in alcune versioni live “fantasia” diventa “anarchia”, n.d.L.K.)”, “addio Bocca di Rosa con te se ne parte la primavera”.
Grazie Fabrizio, per “mille anni ancora”.
Laszlo 11/01/2009