di Maddalena Ferrari
Seconda opera di Salvatores tratta da un romanzo di Ammaniti, è un film cupo, come sottolineato dalla musica-rumore di fondo, metallica e opprimente, della sequenza iniziale e che ritorna in altri momenti; e dall’ambientazione: una vallata del nord-est, devastata da uno sviluppo industriale ormai in crisi, che ha snaturato l’ambiente con capannoni, casotti, motoveicoli da scavo e da lavoro , sbuffi di fumo di qualche ciminiera e vasti ammassi di pietre e sassi, in un’atmosfera livida.
In questo contesto, un rapporto padre-figlio intenso e viscerale: il primo, disoccupato, convoglia il disagio sociale, la frustrazione e la rabbia in un’ideologia nazista e razzista, nel mito dell’uomo forte, che egli stesso vuole essere, e trasmette al ragazzo i suoi valori. Il forte legame fra Rino ( il padre ) e Cristano ( il figlio ) è a rischio, sia intrinsecamente, perchè è chiuso ed esclusivo e non tollera sfiducia né tantomeno tradimenti, sia oggettivamente, in quanto il ragazzo, che è seguito da un assistente sociale, potrebbe essere sottratto alla tutela paterna, non solo per la precarietà economica, ma anche per le carenze del rapporto educativo.
Sono due isolati, il padre e il figlio e di quest’ultimo è messa in luce l’emarginazione a scuola, tra i coetanei e le ragazze.
E poi c’è lo scemo, Quattro Formaggi, con le sue fissazioni mistico-erotiche, protetto da Rino, che lo difende dalle offese altrui, ma che non si esime dal maltrattarlo, quando è il caso, o per scherzo, o per “punizione”.
E’ la situazione, questa situazione, che Salvatores rappresenta con efficacia e necessità; ed anche con il coraggio di chi sceglie un tema sgradevole, senza possibilità di identificazione.
Il film si indebolisce però quando la situazione si evolve in vicenda e inizia una storia, in cui l’idiota ha un ruolo centrale. Innanzitutto perché lo spessore di Quattro Formaggi non tiene rispetto a quello che fa, a come lo fa, a quello che architetta o tenta di attuare.
E poi perché padre e figlio vivono un’ “altra” storia, perdendo la problematicità e la complessità iniziali. Il ragazzo, anche lui come Quattro Formaggi, assume un ruolo “esorbitante” le sue caratteristiche e possibilità.
E il finale, in cui c’è il riscatto del rapporto padre-figlio, appare come una panacea edificante, che supera o allontana contraddizioni, difficoltà e il dolore di vivere.
Le cose che rimangono del film sono due: la “situazione” e il personaggio di Rino, a cui Filippo Timi dà una fisicità forte e compatta e un volto aspro e arcigno.
COME DIO COMANDA
Regia: Gabriele Salvatores
Cast: Elio Germano, Filippo Timi, Fabio De Luigi, Alessandro Bressanello, Angelica Leo, Vasco Mirandola, Vasco Mirandola, Alvaro Caleca, Carla Stella
Sceneggiatura: Niccolò Ammaniti, Antonio Manzini, Gabriele Salvatores
Fotografia: Italo Petriccione
Produzione: Colorado Film Production, Friuli Venezia Giulia Film Commission, Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Italia 2008. Dur: 103′.