“Harvey” di Henry Koster

di Elena Marangoni
«Stavo passeggiando, quando sentii una voce dire: “Buonasera, signor Dowd”. Io allora mi rivoltai e ti vidi questo grande coniglio bianco appoggiato a un lampione. Non ci trovai nulla di strano, perché quando uno ha vissuto in una città quanto ho vissuto io in questa, si fa l’abitudine che tutti conoscano il tuo nome. E naturalmente incominciai a discutere con lui».
Curioso incipit del delicato film ‘Harvey’.
Siamo negli anni ’50, l’età dell’oro di Hollywood: l’immaginaria epoca dell’innocenza, immortalata nel cinema, nelle immagini dell’uomo di classe e nelle automobili lucide parcheggiate nei drive-in.

Harvey è il nome di un coniglio invisibile ai più: un pooka* alto 1 metro e 87 centimetri ed è il miglior amico di Elwood (James Stewart), un perfetto gentiluomo, con modi garbati ed eleganti, che affascina le donne per la sua cortesia e che rimane simpatico agli uomini per la sua spontaneità. Elwood e Harvey passano tutta la giornata passeggiando, discorrendo e andando a bere nei bar.
Elwood ha una sorella, Veta (Josephine Hull) che, con sua figlia Myrtle (Victoria Horne), vorrebbe internarlo in una clinica per malati di mente perché con le sue eccentricità allontana i pretendenti della nipote che (ahimé) non riesce a trovare marito….
In clinica, però, il dottor Sanderson (Charkes Drake) prende per matta Veta e la fa rinchiudere dopo che questa confessa di essere così disperata da vedere lei stessa, a volte, il grande coniglio…

Uno dei più comici, leggeri e toccanti elogi della follia. Sebbene Elwood parli barcollante per tutto il film dimostrando un amore eccessivo per l’alcool, la sua follia se l’è sanamente scelta: «Io ho lottato con la realtà trentacinque anni, dottore, e sono felice di dire che l’ho vinta fuggendola», confessa candidamente al dottor Sanderson fra un’ordinazione di whisky e l’altra. E ben venga, se la follia porta in dono un essere così amabile: « – In questo mondo, Elwood, devi essere o molto astuto o molto amabile – gli diceva la madre -. Io preferivo l’astuzia, ma consiglio l’amabilità».
Harvey è una presenza rassicurante e gentile. L’innocenza e la semplicità di Elwood gli consentono di considerarlo il suo migliore amico e di portarlo sempre con sé: aprendogli porte, porgendogli sedie, cedendogli il passo e meravigliandosi dello stupore degli altri che non riescono a vederlo.

Commedia degli anni cinquanta girata in un bel bianco/nero dal gusto “retro”. Diretto con la consueta professionalità di Henry Koster. Un cast eccellente.
Un giovane e straordinario James Stewart (al suo 32° film in quindici anni di carriera) interpreta Elwood e Josephine Hull (già apprezzata per la sua partecipazione ad “Arsenico e vecchi merletti”) ottenne l’Oscar come miglior attrice non protagonista, mentre James Stewart, candidato a miglior attore, si vide preferire dall’Academy l’interprete di “Cyrano de Bergerac” Josè Ferrer.

“Harvey” nasce come testo teatrale nel 1943, dalla penna della scrittrice americana Mary Chase. Debutta a Broadway lo stesso anno e nel 1944 fa vincere il premio Pulitzer alla sua autrice. Dopo 7 anni di repliche a Broadway viene deciso di trasformare “Harvey” in un film. Mary Chase prende il testo e lo trasforma per il grande schermo, aggiungendo nuove scene.

In un mondo reale dove regna un perbenismo ipocrita, Elwood riesce a fuggire dalla realtà grazie ad Harvey.
Gli altri personaggi – Gaffney un giudice che non ammette la realtà, Chumley un illustre psichiatra che vuole rubare Harvey ad Elwood, Sanderson un dottorino che pensa solo alla carriera e la capoinfermiera Kelly innamorata di lui ma non corrisposta, Wilson un infermiere rozzo e violento e uno stuolo di donne d’alta società le cui manie sono spinte fino all’eccesso – sono tutti personaggi insoddisfatti della loro vita. Interagiscono con Elwood e cercano di cambiarlo, cercano di farlo tornare “normale”. Sono loro che fanno la storia del film (e dello spettacolo teatrale). Elwood non prende mai iniziativa in nulla, subisce passivamente, ma con molta attenzione, tutto ciò che accade attorno a lui. Nonostante ciò alla fine è lui che riesce a cambiare le persone che gli stanno vicino.
E miracolosamente qualche spettatore giura di averlo visto quel grande coniglio! Proprio come capitava in teatro dove, per primi, erano i bimbi, con la loro anima gentile, a girarsi e rigirarsi per cercare e ricercare l’amico invisibile.

Harvey dalla fantasia e/o follia si incarna nella fisicità degli attori, nei movimenti e negli atteggiamenti di Elwood. Il film è bello, una fiaba americana divertente e lieve. Ed è anche un piccolo apologo sul disagio sociale di un mondo dai ritmi incomprensibili, un mondo frenetico. Un mondo che rallenta solo quando entra in scena Elwood coi suoi modi quieti di parlare, di raccontarsi, di conoscere.

Una storia mai anacronistica perché ancora oggi risponde alle frenesie di tutti i giorni. Le frenesie di un mondo che corre veloce. Ma è senza tempo. Senza contatto, senza tranquillità, senza umanità. Harvey è come il segno di un mondo gentile, forse per questo irriconoscibile ai più.
C’è chi ha occhi e non vede, l’ho notato spesso!” ci dice Elwood. L’importante è saper (sempre) cercare.

*Pooka – Dalla antica mitologia celtica. Uno spirito folletto in forma di animale. Sempre di grandi dimensioni. Il pooka appare e scompare qua e là, a questi o a quegli, di giorno o di notte, secondo il suo capriccio. Intelligente ma dispettoso. Predilige i seguaci di Bacco (Harvey, teatro – I atto).

HARVEY

Regia: Henry Koster
Soggetto: Mary Chase
Sceneggiatura: Mary Chase, Oscar Brodney
Produttore: John Beck
Interpreti e personaggi

* James Stewart Elwood P.Dowd
* Peggy Dow Miss Kelly
* Charles Drake Dr. Sanderson
* Cecil Kellaway Dr. Chumley
* Josephine Hull Veta Louise Simmons
* Victoria Horne Myrtle Mae Simmons
* Jesse White Wilson
* Wallace Ford Judge Gaffney
Paese: USA
Anno: 1951
Durata: 104′


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