“Faces” di John Cassavates

di Gianni Quilici

Faces è una festa per uno studioso di cinema, perchè in un film come questo l’esaltazione del linguaggio è insieme anche senso, spessore della realtà che la pellicola trasmette.
Allo stesso modo è stimolante-sconvolgente per un qualsiasi regista, che voglia interagire con il meglio del Passato. Non c’è, infatti, in Faces, niente di scontato, neppure di prevedibile. Perché la sua caratteristica precipua è forse la totale, smisurata libertà creativa con cui è stato pensato, scritto, girato, montato, infine realizzato definitivamente. Una libertà che non si censura, ma anche che non censura. Dentro ci sono gli anni ’60, quel vento di energia creativa, che ha realizzato molte delle opere più innovative e sorprendenti della seconda metà del 900.

Questa libertà si esprime attraverso il flusso irrefrenabile della parola; di una parola che è-si fa complessa immaginazione linguistica; di una immaginazione che diventa una sorta di teatro esistenziale, di un teatro che è estremamente dialettico, perchè esprime contrasti, desideri, solitudini, violenze, amori, lacerazioni; di un teatro dialettico, che diventa cinema, perchè si muove, si allontana, si avvicina, giudica, scopre come solo la macchina da presa sa fare.
Dietro c’è un lavoro lungo sei mesi, ben 150 ore di pellicola, senza compenso per alcuno, con Cassavetes che ipoteca la casa e con un montaggio, che dura, dal 1964, ben 4 anni.

Il film è costruito su una serie di sequenze di impianto teatrale. Per dare soltanto un’idea delle prime sequenze: 1) due uomini d’affari, Richard e Freddie, incontrano in un bar una bella ragazza, Jenny, vanno a casa di lei, dove fanno i matti; 2) Richard torna a casa, litiga con la moglie e le annuncia che divorzierà. Detta così sembra una storia banale e lo sarebbe, se dentro non ci fosse un mondo di segni, anzi più mondi.

Cassavetes non ama le buone maniere, sopratutto la banalità e le convenzioni, neppure come soggetti di critica. I suoi personaggi principali sono autonomi e creativi, tutti oltre il bene e il male. Chi non lo è (le tre donne stagionate che un giovanissimo Seymour Cassel abborda in una discoteca) esprime, dopo un primo lasciarsi andare, paura del desiderio, perchè più forti della solitudine e dell’infelicità coniugale sono le regole sociali. Ma i protagonisti di Faces sono di una vitalità debordante: parlano, cantano, ballano, si corteggiano, si amano, si minacciano, si aggrediscono.

Si intuisce anche dal film il modo di lavorare di Cassavetes: non una sceneggiatura di ferro, ma una base, sulla quale, provando e riprovando, “trovare i personaggi, per renderli vivi, carnali”. Scrive il direttore di fotografia Al Ruban: “Cercava l’emozione. Non cercava una sola qualità, ma tre, quattro, cinque, allo scopo di ritrovare la complessità della realtà degli esseri umani” tanto è vero, dice, che “l’esperienza della lavorazione era davvero eccezionale”.

Cassavetes è, oltre che, un notevole sceneggiatore e uno straordinario direttore di attori, un grande regista. Faces è cinema allo stato puro. Tutto (cioè l’immagine nel suo complesso) è significativo cinematograficamente. La caratteristica essenziale del suo stile è “farsi sentire”, provocando lo spettatore con un linguaggio febbrile, adrenalinico (l’utilizzo torrenziale della parola, i movimenti frenetici di macchina), senza però gli autocompiacimenti delle avanguardie.

In altri termini la m.d.p. non è significativa in sé, ma rispetto a quei contenuti. Così abbiamo movimenti di macchina convulsi che stanno addosso nei contrasti, nelle feste, nei momenti di esaltazione che i protagonisti del film vivono; così come abbiamo molti PPP di volti interi o tagliati o mescolati tra loro, che illuminano, quasi rubandoli dentro la scena, un dolore, un’attenzione particolare, un desiderio; oppure classici campi-controcampi a delineare uno scontro o una complicità. Non ci sono regole precise, se non una serie incredibile di sfaccettature, che hanno come minimo comune denominatore: stare dentro la scena. Perlopiù addosso ai protagonisti fino a coincidere con essi (nei PP, o nelle carellate in avanti o indietro), ma anche stando a distanza, privilegiando un punto di vista, delineando dei rapporti psicologici (inquadrature dal basso in alto e viceversa).
Come scrive Thierry Josse nel suo bellissimo libro “John Cassavetes”, edito da Lindau: “Ogni inquadratura di Faces è come un gesto rabbioso scagliato sulla pellicola, lanciato sul viso dello spettatore”. E aggiunge Scorsese: “Tutti i film di Cassavetes erano epopee dell’anima”.

Faces di John Cassavetes con Richard Forst, Gena Rowlands, Lynn Carlin, Seymour Cassel. Dur: 129′. USA 1968.


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