di Gianni Quilici
E’ una di quelle storie che sono già state viste, ma che si ha il piacere di reincontrare: la maestrina bella e giovane, ma priva di mistero (Valentina Lodovini), che arriva da fuori nella profonda provincia del nord-est (nel Polesine vicino Rovigo) e attizza appettiti erotici nei maschi del paese: il silenzioso meccanico tunisino, il tabaccaio arricchito gioviale e volgare, il giovanissimo giornalista apprendista, quasi un voyer, l’autista belloccio, ma fidanzato, quasi sposato… Sembra una commedia dei sentimenti, quando improvvisamente svolta nel giallo…
E’ un film da vedere? Sì, perché Mazzacurati fa vivere il paesaggio italiano più autentico, ancora non omologato, che ti suscita il desiderio di attraversarlo, perché esso è, ha un’anima. E’ quel paesaggio urbano o naturale, che a partire da Ossessione ha percorso tutto il cinema italiano e che ritroviamo ancora nei nostri migliori (giovani) registi: Garrone, Crialese, Sorrentino, Winspeare, Marra e il meno giovane (e un po’ dimenticato) Capuano.
Su questo paesaggio il regista inserisce alcuni personaggi tratteggiati efficacemente: il tabaccaio ricco, ma cafone, che vive arraffando come può, secondo lo stile del più banale consumismo (Giuseppe Battiston), il giornalista navigato e paternalista (Fabrizio Bentivoglio), l’avvocato cinico e sbrigativo (Ivano Marescotti), e soprattutto il meccanico tunisino, serio e solitario, ma anche incapace, per suoi retaggi culturali, di capire il bisogno di libertà femminile (Ahmed Hafiene). Tutti questi personaggi sono osservati dall’interno a volte con ironia, ma senza forzature di tipo farsesco.
Poco riuscita è invece la maestrina, che è centrale, in un film comunque corale. [Nel cinema italiano, del resto, pochi sono i personaggi femminili davvero memorabili o comunque riusciti]. In questo caso la ragazza appare prima quasi un’adolescente un po’ sciocchina, poi una risentita moralista, infine un’innamorata con gli occhi ciechi. Quello che ne viene fuori non è un personaggio conosciuto e trasmesso, ma una giustapposizione intellettuale.
Ancor meno funziona il giallo, anche se Mazzacurati adopera un po’ degli stilemi tipici del genere. Perché esso sembra appiccicato alla storia, una trovata e non una necessità. In altri termini Mazzacurati non è Chabrol, almeno per ora. Gli manca quella profondità velenosa che il regista francese inietta nei suoi personaggi e nella provincia francese. Si veda per esempio come quei particolari simbolici, la strage dei cani e il cavallo abbandonato, siano privi di collegamenti con la vicenda, non assurgano a simbolo di un mondo, ma rimangano sospesi semplicemente come fatti.
da Lo schermo
La giusta distanza
di Carlo Mazzacurati
con Giovanni Capovilla, Valentina Lodovini, Ahmed Hafiene, Giuseppe Battiston, Roberto Abbiati, Natalino Balasso, Stefano Scandaletti, Mirko Artuso, Fabrizio Bentivoglio, Marina Rocco, Fadila Belkebla, Dario Cantarelli, Raffaella Cabbia Fiorin, Ivano Marascotti.
soggetto: Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati; sceneggiatura: Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati, Marco Pettenello, Claudio Piersanti; direttore della fotografia: Luca Bigazzi; musiche: Tin Hat; montaggio: Paolo Cottignola; scenografia: Giancarlo Basili; costumi: Francesca Sartori; organizzatore generale: Gian Luca Chiaretti; produttore delegato: Laura Paolucci; produttore: Domenico Procacci; una produzione: Fandango in collaborazione con Rai Cinema. Dur: 110′