di Dante Albanesi
“Cosa c’entrava il nichelino in tutto questo?” chiede smarrito Donald Pleasence ne Gli ultimi fuochi di Elia Kazan. E De Niro, serafico: “Niente, stavo solo facendo del cinema…”
Tarantino è una banca di nichelini, ami che legano lo spettatore ad altri testi, altri luoghi. Nichelini come corpi: all’improvviso, una barca piazzata in mezzo al deserto (come la nave di Incontri ravvicinati), contro la quale il bolide delle Vendicatrici va ad infrangersi. “Che cazzo ci faceva qui una barca?!” strillano le ragazze. Nichelini come frasi: Jungle Julia prende in giro Stuntman Mike e lo chiama “Zatoichi”, il samurai cieco di Kitano; un’amica ribatte che Stuntman si è procurato quella cicatrice “uscendo dalla macchina del tempo”. Stuntman e Zatoichi sono la stessa cosa: creature del passato che irrompono nel mondo d’oggi e lo tingono d’irrealtà. Come i telefoni anni ’40 che arredavano Fahrenheit 451 di Truffaut. Come la placida villa di Ladykillers dei Coen dove abita un 1930 pietrificato. Come le stanze polverose di Psycho e Shining, dove le ore hanno smesso di scorrere. A prova di morte è una giostra impazzita del Tempo.
Inutile abboccare a tutte le citazioni, trasformando la recensione in un rapporto poliziesco zeppo di nomi titoli epoche, che subirà poi il copia-incolla del recensore successivo. Molto più importante è riconoscere Tarantino in ciò che è suo e soltanto suo. Tarantino è in quei momenti di “inerzia teatrale” che sembrano un Bergman girato da Scorsese. Serra i personaggi in un locale a chiacchierare per mezz’ora, senza che accada praticamente nulla. Come un motore che gira in folle. Perché i suoi racconti sono ossessionati dal “prima”: più che l’evento da mostrare, ciò che lo intriga sono i preliminari, il laborioso emergere, il crescendo che porta all’esplosione. Dialoghi splendidamente banali che precedono massacri, svolgendo una funzione puramente musicale: un’ouverture in sottofondo, prima dell’attacco in “fortissimo” dell’orchestra.
Ma Tarantino è soprattutto nella cura feticista del dettaglio marginale, aleatorio, digressivo, con il quale Flaubert, altro maniaco di (anti)narrazioni, esce inavvertitamente dalla trama per poterla esaminare dall’esterno, dal punto di vista del lettore o di uno che sta passando di lì per caso. Dettagli: automobili anni ‘70, piedi femminili, cocktail e superalcolici, locandine e manifesti. Il ballo di Sidney Tamiia Poitier, pregno di desiderio ma venato di antica malinconia. Rosario Dawson che si appoggia sul cofano dell’auto e si infila gli stivali con i quali sopprimerà il nemico. L’indimenticabile Zoe Bell che strilla e si dimena impazzita su quello stesso cofano. Semplice, inspiegabile Fotogenia. Gruzzoli di nichelini che tintinnano e rotolano ognuno per proprio conto.
Con Von Trier, Wong Kar-Wai, Greenaway, Lynch e Wenders, Tarantino è uno dei grandi tardo-manieristi del nostro tempo. E sta solo facendo del cinema.
da Linea dell’occhio 58
Grindhouse – A prova di morte
Titolo originale: Death Proof
Regia: Quentin Tarantino
Soggetto: Quentin Tarantino
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Interpreti e personaggi
* Kurt Russell: Stuntman Mike
* Sydney Tamiia Poitier: “Jungle” Julia Lukai
* Vanessa Ferlito: Arlene
* Jordan Ladd: Shanna
* Rose McGowan: Pam
* Rosario Dawson: Abernathy
* Tracie Thoms: Kim
* Mary Elizabeth Winstead: Lee
* Zoë Bell: Zoë
* Eli Roth: Dov
* Quentin Tarantino: Warren il barista
* Michael Parks: ranger Earl McGraw
* James Parks: Edgar McGraw
* Marley Shelton: dottoressa Block
* Jonathan Loughran: Jasper
* Monica Staggs: Lanna Frank
* Electra Avellan: gemella
Elise Avellan: gemella
Paese: USA
Anno: 2007
Durata: 127 min