“Addio a Comencini, neorealista rosa” di Mario Rocchi

di Mario Rocchi

Il fulgido periodo del cinema italiano non fu dato solo dagli indiscussi maestri del neorealismo e del post neorealismo e cioè i vari De Sica, Rossellini, Visconti, Antonioni fino a Fellini, Bertolucci e Scola, ma anche, soprattutto per il successo al box office, dai cosiddetti padri della commedia all’italiana.

Fino all’aprile scorso tre erano i grandi vecchi, ultranovantenni, che si potevano considerare tali: Dino Risi, Mario Monicelli e Luigi Comencini. Oggi sono rimasti in due perché l’autore di “Pane amore e fantasia”, di “Tutti a casa”, dello “Scopone scientifico”, ci ha lasciati e di lui restano quasi cinquanta film. Non certamente tutti all’altezza di quelli nominati, ma in gran parte opere singolari anche laddove il regista sperimentava un nuovo mezzo come quello televisivo (le indimenticabili “Avventure di Pinocchio”).

In un momento in cui i tentativi di ridare una certa sostanza alla commedia cinematografica italiana finiscono tutti nei meandri della banalità e della volgarità, riaffiorano con simpatia i ricordi di un cinema vivo, attuale e divertente, giusto quello che sapeva darci anche Luigi Comencini che fu l’iniziatore di quel neorealismo rosa, certamente inviso dalla critica ufficiale, ma che ottenne un enorme successo di pubblico. Tanto che ancora oggi ci si chiede se sia stato un regista di consumo oppure uno specchio della società italiana. Fu senz’altro tutti e due e lui ne era ben consapevole. Diceva: “Io non sono un artista: mi considero un buon artigiano e non è detto che il mio cinema raggiunga per questo l’artisticità del risultato”.

E’ uscito di scena discretamente e silenziosamente come, del resto, aveva sempre vissuto. Certi lati della sua personalità vengono fuori oggi, dopo gli studi degli specialisti, che servono a conservare la memoria di una vita e degli aspetti della sua personalità avulsi anche dall’attività cinematografica. Come l’infanzia trascorsa in Francia, l’impegno giornalistico militante e antifascista durante l’occupazione tedesca e il suo soggiorno in Svizzera.

Comencini nasce come intellettuale. Laureato in architettura, è amico di Lattuada e con lui viene a far parte della rivista “Corrente” fondata nel 1938 da Ernesto Treccani e a cui collaborò il fior fiore della cultura italiana. E’ in quegli anni che inizia la passione per il cinema e dopo “Corrente” diventa, nell’immediato dopoguerra, critico cinematografico dell’”Avanti” e poi del “Tempo”. Con suo fratello Gianni, Lattuada e Mario Ferrari, fondò la Cineteca di Milano, il primo archivio cinematografico del nostro paese.

Dunque entrò nel cinema come studioso e appassionato per poi, a trentun’anni, tentare l’atto creativo. Lo fece con un documentario “Bambini in città”, sull’infanzia delle borgate. Da quel momento inizia la carriera di un cineasta che si cimenterà in vari generi anche se il suo primo successo lo deve a una commedia di neorealismo rosa come “Pane, amore e fantasia”, simbolo di un cinema popolare che ammiccava al neorealismo con uno sguardo ironico e addolcito. Dato l’enorme richiamo di pubblico, seguì “Pane, amore e gelosia”, sempre con De Sica e la Lollobrigida ma appena qualche anno dopo si cimentò nella commedia graffiante, “Tutti a casa”, quello che lui considera uno dei suoi migliori film, come afferma nel recentissimo libro curato da Aprà che vuol fare ordine in un ricchissimo archivio, “Luigi Comencini. Al cinema con cuore 1938-1974”, “perché oltre che raccontare in modo avvincente i folli avvenimenti dell’8 settembre 1943, è un film educativo”. Infatti fu, quella pellicola, la personificazione dell’originalità e del fondamento della commedia all’italiana, cioè un cinema popolare che riesce a parlare a tutti di cose drammatiche e importanti. Un cinema che si basa sulla semplicità della enunciazione dei fatti così importante per rendere un film piacevole.

Quale tipo di commedia è invece “Lo scopone scientifico”? Certamente dai toni neri in cui elementi reali e fantasiosi si intrecciano con la violenza e la ferocia. Con un cast eccezionale (Sordi, Mangano, Modugno, Bette Davis e Joseph Cotten) Comencini crea un film amaro e divertente condotto con singolare intensità. E il regista è ancora al tempo stesso brillante e amaro in “L’ingorgo – Una storia impossibile”, dove si intrecciano rapporti umani, fantasociologie e visioni non troppo lontane di catastrofi ecologicche, nel quadro della commedia di costume. Ci saranno nel suo curriculum anche film gialli, film sociali, di critica al perbenismo, biografici, qualche evasione commerciale.

Comencini è stato anche considerato il regista dei bambini. Nonostante lui dicesse di non avere poi una grande attenzione per il mondo dell’infanzia, trovava forse nei bambini, nel loro sguardo fresco, un punto di partenza per poter parlare dei disagi umani e delle trasformazioni sociali. Dirige “Proibito rubare”, il suo primo lungometraggio, sugli scugnizzi napoletani; dirigerà bambini, fra gli altri, anche in “Incompreso”, “Voltati Eugenio”, “Un ragazzo di Calabria” e soprattutto nella ottima trasposizione televisiva delle avventure di Pinocchio. E così come aveva saputo trattare i bambini, in una delle sue ultime fatiche “Buon Natale, Buon Anno”, sa guardare con altrettanta attenzione, come in una specie di congedo, anche al mondo della terza età.

Con Comencini dunque sparisce un regista che ha fatto una parte della storia del cinema italiano. I suoi film, come del resto quelli di Risi e Monicelli, furono in un certo senso snobbati dalla critica militante tutta presa dai nomi altisonanti certamente di grande merito ma che, sia pure non volendo, venivano a offuscare la fama di questi “artigiani”, come dice Comencini stesso, ma non è detto che, al di là di questa considerazione, quel cinema non abbia raggiunto ugualmente l’artisticità del risultato.

da La linea dell’occhio n. 58

roberto costa said,

Aprile 19, 2009 @ 21:03

Ho appena (ri)visto “Tutti a casa”, per la prima (e spero non ultima) volta in pellicola: se Comencini lo considerava uno dei suoi migliori film, noi lo possiamo senza dubbio considerare una delle più belle opere del cinema italiano, esempio straordinario (come “Il sorpasso” o “La grande guerra”) di commedia che riesce a raccontare la società e la storia con leggerezza e al tempo stesso con acutissimo sguardo. Comencini è qui semplicemente perfetto, riuscendo a calibrare l’esplosività di Sordi (una delle sue migliori interpretazioni, con il già citato di Monicelli e “Una vita difficile” di Risi), proponendo Serge Reggiani in un ruolo inedito e mettendo in scena situazioni di estrema drammaticità senza scivolare neanche un istante nel pietismo, nel sentimentalismo o nel moralismo. Molto di più di un buon lavoro di artigianato cinematografico.
Un altro film di Comencini a cui sono particolarmente affezionato è “La donna della domenica”, una commedia gialla tratta dal libro di Fruttero e Lucentini, che racconta Torino e il “torinesismo” con sorniona ironia, con un cast infallibile (impossibile dimenticare Lina Volonghi che partecipa alla retata di prostitute e Pino Caruso con il ventilatore tascabile!, oltre naturalmente all’ineffabile Marcello).
Da non trascurare che stiamo parlando di due film scritti (tra gli altri) da Age e Scarpelli…

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