“New Cinema” di Andrea Caramanna

di Dante Albanesi

“Andare a zonzo”. Così, ne L’Immagine-Tempo, Gilles Deleuze chiama la forma narrativa più caratteristica del nuovo cinema anni ’60: un racconto intriso di svolte, digressioni, soste apparentemente immotivate, ellissi repentine, scioglimenti ambigui.

È la stessa forma che Andrea Caramanna adotta nel suo New Cinema, un viaggio tra film e teorie che avanza in controllato disordine, accumulando sensazioni, ipotesi, suggestioni in preziosa libertà. Punto di partenza è il Postmoderno. Insidiato da decine di nuovi media, il cinema contemporaneo assume tratti proteiformi: si fa superficiale e orizzontale, rapido e spiazzante, citazionista e catalogatore. Da una parte, l’espansione totalitaria del mercato ha come risultato “la sterile standardizzazione dello stile, che tende a ripetere modelli remunerativi, che spiegano perfettamente la moda tutta economica di questi anni dei sequel e dei prequel” (pag. 11). Dall’altra, si afferma un unico immenso transgenere: “Videogame che diventano film, serie televisive e cartoons che approdano al cinema, sceneggiati televisivi che scimmiottano il grande schermo” (p. 67).
Il film diventa uno sfavillio di riflessi e rimandi, “la ricostruzione peculiare di generi classici, rivisitati con occhi contemporanei o clonati con freddezza esecutiva” (p.68). Come in Psycho di Gus Van Sant e Lontano dal Paradiso di Todd Haynes, nelle simulazioni di neonoir dei Coen, nel cinema dissociato di Spike Jonze. In Pola X di Leos Carax, dove molte sequenze evadono dalla trama per farsi valore estetico a sé, cortometraggio indipendente dal resto della visione. Nello straniamento beffardo de I Tenenbaum di Wes Anderson, che guarda a costumi e mitologie anni ’80 come a reperti di età sepolte.

Assassini nati di Oliver Stone è per Caramanna un testo cardine del cinema come (auto)critica dell’immagine. “Dopo l’esperienza dei videoclip musicali negli anni Ottanta, il cinema non ha scelta. Deve giocoforza utilizzare questo nuovo tipo d’estetica che si fonda sulla velocità e sulla varietà parossistica delle inquadrature, sempre più sghembe, con un montaggio che prescinde completamente dai raccordi del cinema tradizionale” (p.167). Il postmoderno è dunque slancio verso accelerazione e disordine, ma anche (in splendida, vitale contraddizione) recupero di una scrittura estrema e arcaica, come nel cinema di Manoel de Oliveira: immagini che immerse nell’epoca della PlayStation risultano quanto mai aliene, ma che emanano l’effetto paradossale di una immobile, insuperabile “modernità”.

da La linea dell’occhio n.57

NEW CINEMA – Storie del cinema contemporaneo. Andrea Caramanna – Edizioni SEB 27, Torino, 2006, pagg. 192

 


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