di Renzo Cresti
Il suono del silenzio è una dimensione dimenticata, e non solo dall’uomo occidentale circondato da variopinti e spesso inutili suoni, da musiche banali e da mille rumori che ti entrano dentro e che ti rimbecilliscono.
Nelle quasi 3 ore del film Il grande silenzio, durante le quali la macchina da presa si ferma sulla vita quotidiana dei frati, sui loro volti, sui dettagli dei loro gesti, in un equilibrio di chiaro-scuri di luce e di silenzi, pochissime sono le parole e quasi assente è la musica (a parte il Canto gregoriano che i monaci stessi intonano). “Volevo raccontare il silenzio, il modo nel quale i monaci lo utilizzano per creare un proprio spazio interiore; volevo che il mio film diventasse un monastero” dice il regista e difatti Gröning fissa sulla pellicola un silenzio rotto solo da suoni ambientali, campane che invitano al raccoglimento, senza commento musicale.
Non è una novità per la musica degli ultimi decenni il concentrarsi sul silenzio, non inteso come pausa fra lo scorrere dei suoni, ma come dimensione totalizzante e interiorizzata.
Webern è stato il primo, in ambito occidentale, allargando le fitte maglie del costruttivismo dodecafonico e facendovi entrare il silenzio; mentre Cage, in quell’ambito americano che guarda all’Asia, realizza addirittura un brano di soli silenzi (il famigerato 4’33”, quattro minuti di solo silenzio).
All’interno dell’involucro del silenzio i suoni hanno una ricchezza di significato straordinaria, come appunto si vede/ascolta nel pregnante film-documentario di Gröning, il tempo si spazializza e lo spazio è quello dell’interiorità. Si ha la possibilità di concentrarsi sulla sola immagine, sulla densità del tempo/spazio, e di contro di riflettere sulle nostre vite di corsa e piene di banalità.
Solitamente il cinema pretende un surplus di parole e di dialoghi, accompagnati troppo spesso da una musica che ammicca al commerciale, al contrario la leggerezza e, a un tempo, la profondità del silenzio sarebbero auspicabili, per un’esigenza di pulizia dell’occhio e dell’orecchio, per un bisogno di concentrarsi sulle cose essenziali: il silenzio della musica non è un silenzio muto e vuoto, come ben ci racconta il film del regista tedesco, ma è un silenzio ricco di umori e di pensieri.
da La linea dell’occhio 55